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Nella bottega d’arte di via Leon d’Oro il cartone ondulato diventa scultura

Creata nel 1993, fu aperta da Ferruccio Bolognesi. Ora c’è la figlia Anna: «In questa magia fin da piccola»

GILBERTO SCUDERI
2 minuti di lettura

MANTOVA. In via Leon d’Oro c’è la Bottega d’arte Bolognesi, aperta nel 1993 da Ferruccio Bolognesi (1924-2001) e da sua figlia Anna, anche lei artista. Acqueforti, puntesecche, sculture fatte con tondini di ferro e con lamiera, lastre in zinco, grandi carboncini, bozzetti, costumi, quadri e altro ancora: il tutto è appeso alle pareti e appoggiato su tavoli, scaffali, scansie, cavalletti, e a ridosso dei muri sul pavimento. Salendo due scalini si entra nel laboratorio, anche qui carta in ogni dove: una scultura in cartone ondulato intitolata “Il Biequestre” (due cavalli) è appesa a un brano di muro. Una finestra si affaccia sul cortiletto della sacrestia di Sant’Andrea. Tiriamo il chiavistello di una porta, e passando da un ballatoio scendiamo nella via.

A pochi metri c’è il deposito sotterraneo, una cantina a volti di mattoni dove si trovano altre opere d’arte: dipinti, costumi, una maschera con i capelli neri di fili di carta usata per “Il ballo delle ingrate” e alcune locandine tra cui “La Dafne” di Marco da Gagliano (rappresentata a Mantova nel 1608, e nel 1981 a Londra con regia del musicologo Claudio Gallico e costumi di Ferruccio Bolognesi) e “Vestire i sogni”, rassegna di bozzetti e costumi teatrali ideati da Bolognesi e realizzati dalla sartoria Tirelli, allestita a Carpi nel 1982.

«Da quando ero una bambina - dice Anna Bolognesi - mio padre mi ha sempre coinvolta nei suoi interessi in campo artistico: teatro, mostre, concerti. Negli anni ’60 iniziò a fare mostre in Italia e all’estero. Faceva il ragioniere e conciliava con difficoltà il lavoro in banca con l’attività artistica. Dopo il ginnasio e il liceo linguistico mi sono iscritta al Dams a Bologna e ho cominciato a collaborare con lui che aveva iniziato a fare lo scenografo e il costumista». Anna seguiva il padre ovunque, a Roma all’atelier Tirelli e come direttrice di scena negli spettacoli diretti dal maestro Gallico. A Mantova al Bibiena, a Sabbioneta all’Olimpico, a Vicenza all’Olimpico e a Londra furono rappresentate opere di Claudio Monteverdi, Domenico Mazzocchi e Giovanni Paisiello.

«A Roma ho visto le meraviglie che venivano realizzate per il teatro e il cinema – prosegue – appassionandomi ai materiali e alle carte usate a volte al posto dei tessuti o mescolate a essi. Alla fine degli anni ’80 abbiamo smesso di dedicarci alla scenografia e ognuno ha seguito la propria strada». Fino a quando, nel 1993, Ferruccio aprì in via Leon d’Oro la bottega dove tuttora lavora la figlia, custode di gran parte del suo lascito artistico e a sua volta artista nel solco della tradizione paterna. «Da allora sono tornata a contatto con grafiche, bozzetti, acqueforti e materiali per la stampa – dice – e ho imparato varie tecniche dagli artigiani-artisti che lo aiutavano. Incidevo le prime lastre in zinco che l’amico e artista Carlo Bertolini ha cominciato a stampare, le mie assieme a quelle di mio padre».

Su un tavolo della bottega ci sono alcune stampe di carattere religioso. «Ammiravo i vecchi o antichi “rami” da cui nascevano un tempo i santini, oppure le tavolette in legno per le xilografie più popolari, i bulini eccetera. In un romanzo Mario Rigoni Stern racconta la storia di Tönle, che poco prima della Grande Guerra varcava le montagne del Trentino per vendere i santini di casa in casa, nell’impero austro-ungarico. La sua bottega era un filo teso fuori dalle chiese al quale appendeva immagini di santi, di miracoli e grazie ricevute. Anche i primi soggetti che ho inciso si rifacevano all’arte sacra, santi, angeli, chiese di Mantova. San Longino e i Sacri Vasi poi sono stati un soggetto predestinato, infatti la bottega che mio padre ha scelto è addossata all’abside della basilica di Sant’Andrea sull’angolo di piazza Alberti. Ogni Venerdì Santo vedevamo dalla finestra del laboratorio il cortiletto della sacrestia animarsi». Per Anna Bolognesi i Sacri Vasi e i volti delle Madonne erano un’ispirazione per acqueforti e puntesecche. «Ho continuato a incidere su formati piccoli per rimanere nello stile del santino antico con una leggerezza di tratto appresa da mio padre – dice – interpretando i soggetti antichi e stampandoli su carte pregiate come Graphia o Hahnemühleuna». Fatte a mano, escono da una fabbrica tedesca che fa carta dal 1584.




 

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