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Elio e l’amore per Jannacci «Chi non ride non è serio»

Tutto esaurito al Sociale per l’omaggio del “padre” delle Storie tese «Canzoni inframmezzate a brani scritti da personaggi riconducibili a lui»

Gloria De Vincenzi
2 minuti di lettura

Enzo Jannacci cantato e recitato da Elio nello spettacolo “Ci vuole orecchio” approda al Sociale domani sera, sabato 26 novembre, (i posti sono esauriti), ad aprire la rassegna curata da Shining. Con Elio (Stefano Belisari), cinque musicisti compagni di viaggio in un’avventura che porta sul palco due saltimbanchi della musica: il poetastro, come si definiva Jannacci, ricantato dal filosofo assurdista e performer eccentrico come il regista descrive il padre de Le storie tese. «Uno spettacolo giocoso e profondo perché chi non ride non è una persona seria», anticipa Elio.

Ci vuole orecchio. Ma anche coraggio ad affrontare un’icona? «Volevo fare uno spettacolo su di lui, era in classe con papà e i suoi dischi in casa li ascoltavamo: era come un parente, anche se non ci siamo quasi mai visti. Per me è una grande gioia poter cantare le sue canzoni e la cosa non mi ha fatto paura. Per egoismo: fare una bella cosa per me. Ma ’è anche un intento generoso per il pubblico. Anche lui esprimeva una generosità fuori dalle righe ed è un bell’esempio per i giovani».

Cosa ama di Jannacci, quale dei suoi personaggi la colpisce di più? «Le canzoni della sua prima fase, la collaborazione con Fo, l’Armando, il barbone con le scarp de tennis, il palo della banda dell’Ortica. Mi colpiscono perché corrispondono alla mia idea di racconto». Nella Milano di oggi, quali personaggi hanno preso il posto di quelli dell'autore di “Ci vuole orecchio”? «Milano cambia nella forma ma non nello spirito. È passata indenne dal berlusconismo, dalla citttà da bere. In fondo Jannacci racconta una Milano che è ancora attuale».

Nei panni del pubblico: cosa si deve aspettare dallo spettacolo? «Un bello spettacolo. Non sono io a dirlo, ma i riscontri positivi che abbiamo avuto e ne siamo quasi rimasti sorpresi: io non faccio altro che cantare Jannacci».

Nello spettacolo le canzoni sono inframmezzate dalla lettura di brani scritti da personaggi riconducibili a lui: Umberto Eco, Michele Serra ... e anche tre miei. E sul palco ci sono valenti giovani coinvolti nell’universo jannacciano. È coinvolgente e funziona anche al Centro e al Sud: avevo paura che la sua cifra molto milanese risultasse ostica, invece no. Credo che Jannacci non sia mai stato ascoltato con attenzione: faceva ridere e questo rendeva meno evidente la forza dei contenuti. Poi la mia idea è quella di generare una sana reazione del pubblico, che per me in uno spettacolo non può restare passivo: per quello si sta sul divano di casa. È quello che facevano anche i futuristi, non ho inventato niente. Lo spettacolo è stato pensato dal regista Giorgio Gallione, al quale avevo chiesto con insistenza di immaginarlo. Lo avevo già fatto con Gaber, ma Jannacci non ha lasciato un testo scritto e Gallione ha pensato a selezionare le canzoni più rappresentative. Ovviamente ne mancano parecchie: sarebbero state troppe».

Sul palco Alberto Tafuri al pianoforte, Martino Malacrida alla batteria, Pietro Martinelli al basso e contrabbasso, Sophia Tomelleri al sassofono, Giulio Tullio al trombone, arrangiamenti musicali di Paolo Silvestri.

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