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Colonna della morte, storia fotografica delle stragi naziste nel Mantovano

Era chiamata “Colonna Pfefferkorn”, dal nome del tenente di artiglieria dell’esercito tedesco che la comandava, ma ben presto divenne nota come “Colonna della morte” per la scia di sangue e terrore che lasciò dietro di sé alla fine della Seconda Guerra Mondiale nel territorio mantovano. La sua storia verrà narrata venerdì nella sala delle colonne della Biblioteca Baratta dallo storico Carlo Benfatti

Emanuele Salvato
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Era chiamata “Colonna Pfefferkorn”, dal nome del tenente di artiglieria dell’esercito tedesco che la comandava, ma ben presto divenne nota come “Colonna della morte” per la scia di sangue e terrore che lasciò dietro di sé alla fine della Seconda Guerra Mondiale nel territorio mantovano. La sua storia verrà narrata venerdì nella sala delle colonne della Biblioteca Baratta di Mantova dallo storico Carlo Benfatti, attraverso una serie di fotografie scattate da reporter degli eserciti italo tedesco e americano.

Come racconta lo stesso Benfatti, che condurrà l’evento organizzato da Istituto Mantovano di Storia Contemporanea e Anpi, la colonna Pfefferkorn era una guarnigione mista, composta da circa 250 artiglieri tedeschi della Flak e legionari della Repubblica Sociale. Braccati dagli americani e dai partigiani, nella notte fra il 25 e il 26 aprile del 1945 i soldati del contingente italo tedesco si spostarono da San Giacomo Po verso il Brennero dando vita a tre giorni di terrore e morte nei territori compresi fra San Nicolò Po, Campione, Virgilio, Grazie, Rivalta, Rodigo e Ceresara. «Il contingente – racconta Benfatti – si spostava lentamente a causa dei pesanti armamenti che portava con sé. Con il favore delle tenebre e seguendo strade secondarie la Colonna arrivò a Campione e fece la prima vittima». A cadere fu una donna che si affacciò alla finestra allarmata dal rumore dei soldati in movimento. Una raffica di mitra la uccise sul colpo. Pochi minuti dopo la “Colonna della morte” arrivò nel territorio di Virgilio e lì «probabilmente – spiega ancora Benfatti – per evitare che allertassero le truppe americane e i partigiani sulle loro tracce, rinchiusero nella corte Panzina 86 persone, tra donne, anziani e bambini».

In quella stessa notte, le ronde nazifasciste che battevano il territorio circostante alla Panzina s’imbatterono in alcuni partigiani armati con fucili da caccia, inviati dal locale comitato di liberazione. Catturati, furono uccisi senza pietà e «impietosamente seviziati – aggiunge Benfatti – a Corte Nespolo, a Cappelletta. Si trattava di Ermes Cavicchioli, Francesco Goldoni, Giuseppe Gobbi, Angelo Boniventi». Una lapide oggi li ricorda. Stessa sorte toccò a un civile, Angelo Solci. Nello stesso frangente venne processato e fucilato a morte un milite austriaco. Ma la scia di morte non terminò. La colonna Pfefferkorn, dopo aver lasciato il territorio di Virgilio, raggiunse Rivalta, poi Rodigo continuando la strage. Il 28 aprile la famigerata colonna arrivò a corte Podinare di Ceresara, dove rifiutò la resa richiesta da un gruppo di alleati e ingaggiò una battaglia con gli americani. Alla sera la Colonna venne annientata. Emanuele Salvato

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