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L'intesa Usa-Cina sui gas serra mette a rischio l'industria europea

Pechino ha già conquistato la leadership mondiale del settore delle rinnovabili, le esitazioni europee sugli obiettivi al 2030 potrebbero far perdere colpi al vecchio continente

2 minuti di lettura
(ansa)
ROMA - Il patto tra Stati Uniti e Cina sul tetto alle emissioni di gas serra (Washington si impegna a ridurle del 25-28% entro il 2025 sulla base dei dati del 2005, Pechino si impegna a diminuire il picco delle emissioni entro il 2030, se non prima, e a produrre il 20% dell'energia da fonti alternative) registra un cambiamento di portata epocale. I due paesi che negli ultimi 20 anni hanno opposto le maggiori resistenze a una normativa internazionale per la salvezza del bene comune atmosfera all'improvviso si trovano in una posizione d'avanguardia, mentre l'Europa, resa incerta dalla crisi, tentenna e rischia di perdere quote di mercato, incalzata da standard globali sempre più elevati.

Certo i numeri di oggi non corrispondono a questo quadro. L'Unione europea, la potenza che ha voluto e imposto il protocollo del 1997, vive ancora della gloria passata. È la prima della classe, ma per quanto? Uno scenario che si comincia a profilare come probabile vede un accordo globale sul clima che verrà sottoscritto a fine 2015 alla conferenza Onu di Parigi. Una proposta trainata da Europa, Stati Uniti e Cina. Gli Stati Uniti però rischiano di replicare lo scenario post Kyoto: subito dopo la conferenza si voterà il nuovo presidente. Nel 1997 Bush straccio l'accordo siglato da Clinton, la storia si ripeterà?

L'Europa continua a sottoscrivere proclami virtuosi, ma alle parole spesso non seguono i fatti: l'obiettivo al 2030 del 27% per le rinnovabili e l'efficienza energetica, oltretutto senza un impegno vincolante Paese per Paese, suona molto debole e, alla lunga, potrebbe rendere meno competitivo il suo sistema produttivo. La Cina invece cambia rotta con lentezza ma con una capacità di programmazione che abbraccia i decenni: il costo che sta pagando per l'inquinamento che si è autoinflitta, abbinato alla leadership mondiale delle sue industrie di energia pulita, dà credibilità al suo annuncio.

E infatti le reazioni oggi sono di soddisfazione generale, con qualche preoccupazione per il ruolo dell'Europa. "Tutti i governi", afferma Mariagrazia Midulla, responsabile clima ed energia del Wwf, "devono ora accelerare il ritmo e la portata dei loro impegni per i negoziati sul clima delle Nazioni Unite. In questo senso, anche l'Unione europea deve compiere uno sforzo maggiore per guadagnare in autorevolezza".

"È una buona notizia per arrivare a un accordo alla cop 21 di Parigi", aggiunge il presidente di Legambiente Vittorio Cogliati Dezza, "un risultato frutto anche della mobilitazione globale che ha visto il 21 settembre scorso a New York e nel mondo milioni di persone in piazza per chiedere un maggior impegno contro i cambiamenti climatici. L'Unione europea deve essere meno timida nelle sue scelte, era partita bene ma poi si è fermata". Per Greenpeace "è un buon segnale ma non ancora sufficiente. Questi accordi sono ancora lontani dal cambiare le regole del gioco nella lotta al riscaldamento globale".

"Gli impegni di riduzione delle emissioni firmati a Pechino restano modesti e i tempi troppo lunghi se si considera la gravità delle conseguenze dei cambiamenti climatici, che anche in Italia si manifestano con sempre maggiore intensità", nota Sergio Andreis, direttore del Kyoto Club. Il ministro dell'Ambiente Gianluca Galletti sottolinea invece "l'unità dei Paesi europei che ha favorito questa svolta storica". Mentre Gianni Silvestrini, presidente del Coordinamento Free, fa notare che il solo impegno della Cina implica la realizzazione ogni anno di 60mila megawatt (la metà della potenza elettrica totale installata in Italia) senza emissioni di Co2, prevalentemente da fonti rinnovabili.