ROMA. Due anni fa Eros Ramazzotti realizzò il World Tour compensando le 1500 tonnellate di CO2 emesse ogni sera con iniziative di sostenibilità ambientale in Perù. Prima di lui, i Bon Jovi, a Buenos Aires, fecero ballare 45mila persone usando biocombustibile per produrre energia. Quest’anno, a Stromboli, un intero festival teatrale è stato realizzato senza far ricorso alla corrente elettrica. Si può fare. Si deve fare. Perché i grandi eventi (e non si parla solo di concerti e festival ma anche di innumerevoli convegni e fiere, ad esempio) vengono organizzati ormai in ogni angolo del mondo, coinvolgono milioni di persone…e inquinano. Porsi il problema del loro impatto ambientale è dunque una necessità istituzionale. E l’unico modo per “educare” organizzatori e amministratori è stabilire delle buone pratiche. Di questo si parlerà l’11 settembre a Milano (Cascina Triulza, Expo 2015, esso stesso evento a impatto zero) nel corso di un appuntamento organizzato da Regione Umbria e agenzia regionale Sviluppumbria, capofila di un progetto internazionale finalizzato proprio alla diffusione mondiale di queste best practice amiche dell'ambiente.
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Tra stand da allestire e smontare, tonnellate di carta per cataloghi, accrediti, cartelle stampa, quintali di cibo per sfamare i visitatori, ettolitri di bevande e migliaia di bottigliette d'acqua per dissetarli, bollette astronomiche dell'energia elettrica, condizionatori d'aria per riscaldare e raffreddare i locali, i grandi eventi rappresentano per il pianeta una insospettabile, silenziosa catastrofe. A parteciparvi sono solitamente persone che in quel momento a tutto pensano, meno che al disastroso impatto ambientale dell’esperienza che stanno vivendo, troppo coinvolte dalla musica, dal dibattito o dall'happening in corso.
I visitatori affrontano queste esperienze con un po’ di sana spensieratezza, e sono dunque gli organizzatori ad avere in mano la palla della responsabilità nei confronti della Terra. La battaglia per minimizzare emissioni, rifiuti, spreco di cibo, acqua, carta e altre risorse naturali tocca a loro. Ecco perché dodici organizzazioni europee provenienti dall'Italia alla Lettonia, dalla Romania alla Spagna, dall'Olanda alla Slovenia, rappresentanti di altrettanti enti locali, istituzioni accademiche e agenzie pubbliche, si sono riunite per dare il via al progetto Zen (Zero Impact Cultural Heritage Event Network) che vede, tra i principali ispiratori (e questo ci fa onore), proprio Regione Umbria e Sviluppumbria. Obiettivo: indagare l'impatto ambientale dei grandi eventi pubblici, scambiarsi reciprocamente esperienze di buone pratiche nella gestione di quelli ospitati dalle città e dai territori coinvolti e individuare soluzioni innovative attuali e attuabili a livello continentale.
"Un festival musicale, tra palchi, amplificazione, trasporto pesanti su gomma e ristorazione - spiega Chiara Dall'Aglio, responsabile del progetto per Sviluppumbria - consuma senz'altro più risorse ambientali di un convegno o di una fiera tradizionale. In ogni caso, si tratta sempre di numeri che fanno riflettere. Il festival della letteratura di Hay, in Galles, ad esempio, consuma mediamente 260 tonnellate di CO2 l'anno, senza calcolare l'impatto prodotto dalle centinaia di migliaia di visitatori. Proprio per questi motivi, ogni evento dovrebbe mettere in atto sistemi di misurazione e monitoraggio per tenere sotto controllo i consumi effettivi".
Quanto sia utile un'iniziativa del genere lo dimostra una recente indagine demoscopica europea condotta tra chi ha partecipato a eventi pubblici nel vecchio continente: stando alla ricerca, il 50% dei visitatori sarebbe disposto a pagare un prezzo più alto del biglietto se questo potesse contribuire a ridurre l'impatto della manifestazione sull'ambiente; il 71% potrebbe raggiungere il luogo dell'evento con i trasporti pubblici se l’offerta fosse inclusa nel costo di entrata; l'80% sente di essere personalmente responsabile della riduzione della quantità di rifiuti prodotti in occasione della partecipazione a concerti, festival e quant’altro; l'86% farebbe volentieri la raccolta differenziata durante questi momenti di festa, se ci fossero però gli appositi contenitori. Last but not least, il 43% ammette di aver cambiato il proprio atteggiamento quotidiano rispetto all’ambiente in seguito a iniziative e proposte sperimentate in occasione di manifestazioni “virtuose”.
Per illustrare il progetto, Sviluppumbria e Regione Umbria hanno organizzato un seminario, "Eventi e sostenibilità: esperienze a confronto", che servirà a mettere sul piatto i principali casi di studio europei e internazionali in tema di rispetto dell'ambiente ed eventi partendo proprio da quanto realizzato finora dalla Regione definita, per la sua sensibilità nei confronti di certe questioni, “cuore verde” d’Italia. Durante l’incontro si discuterà di temi cruciali quali l'impatto zero, la legacy, la mobilità, il coinvolgimento degli stakeholder (ovvero gli organizzatori), illustrando le esperienze realizzate in Italia sia alla Gran Bretagna che al Brasile, Paesi con i quali l'Umbria collabora da anni su varie tematiche, fra le quali appunto l'ecosostenibilità dei grandi eventi.
"Tutte le migliori pratiche in questo campo - continua Dall'Aglio - sono caratterizzate da un'analisi attenta dell'impatto prodotto e dalla messa in campo, spesso con il supporto di esperti, di misure correttive efficaci. Direi che le best practice si definiscono per ciò che non sono: per realizzare un evento a basso impatto ambientale è bene evitare le cosiddette azioni di greenwashing, ovvero quelle attività di compensazione che, pur messe in atto con l'intenzione di ridurre l'impatto ambientale sul pianeta, non incidono in nessun modo positivamente sull'approccio organizzativo dell'evento e non lo rendono quindi più ecosostenibile. Credo - conclude - che si debba puntare a massimizzare gli aspetti positivi di ogni manifestazione, soprattutto in termini di legacy, cioè del lascito che l'evento può avere sul territorio ospitante. Solo questo modo ogni iniziativa potrà diventare anche un laboratorio di innovazione sociale".
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Tra stand da allestire e smontare, tonnellate di carta per cataloghi, accrediti, cartelle stampa, quintali di cibo per sfamare i visitatori, ettolitri di bevande e migliaia di bottigliette d'acqua per dissetarli, bollette astronomiche dell'energia elettrica, condizionatori d'aria per riscaldare e raffreddare i locali, i grandi eventi rappresentano per il pianeta una insospettabile, silenziosa catastrofe. A parteciparvi sono solitamente persone che in quel momento a tutto pensano, meno che al disastroso impatto ambientale dell’esperienza che stanno vivendo, troppo coinvolte dalla musica, dal dibattito o dall'happening in corso.
I visitatori affrontano queste esperienze con un po’ di sana spensieratezza, e sono dunque gli organizzatori ad avere in mano la palla della responsabilità nei confronti della Terra. La battaglia per minimizzare emissioni, rifiuti, spreco di cibo, acqua, carta e altre risorse naturali tocca a loro. Ecco perché dodici organizzazioni europee provenienti dall'Italia alla Lettonia, dalla Romania alla Spagna, dall'Olanda alla Slovenia, rappresentanti di altrettanti enti locali, istituzioni accademiche e agenzie pubbliche, si sono riunite per dare il via al progetto Zen (Zero Impact Cultural Heritage Event Network) che vede, tra i principali ispiratori (e questo ci fa onore), proprio Regione Umbria e Sviluppumbria. Obiettivo: indagare l'impatto ambientale dei grandi eventi pubblici, scambiarsi reciprocamente esperienze di buone pratiche nella gestione di quelli ospitati dalle città e dai territori coinvolti e individuare soluzioni innovative attuali e attuabili a livello continentale.
"Un festival musicale, tra palchi, amplificazione, trasporto pesanti su gomma e ristorazione - spiega Chiara Dall'Aglio, responsabile del progetto per Sviluppumbria - consuma senz'altro più risorse ambientali di un convegno o di una fiera tradizionale. In ogni caso, si tratta sempre di numeri che fanno riflettere. Il festival della letteratura di Hay, in Galles, ad esempio, consuma mediamente 260 tonnellate di CO2 l'anno, senza calcolare l'impatto prodotto dalle centinaia di migliaia di visitatori. Proprio per questi motivi, ogni evento dovrebbe mettere in atto sistemi di misurazione e monitoraggio per tenere sotto controllo i consumi effettivi".
Quanto sia utile un'iniziativa del genere lo dimostra una recente indagine demoscopica europea condotta tra chi ha partecipato a eventi pubblici nel vecchio continente: stando alla ricerca, il 50% dei visitatori sarebbe disposto a pagare un prezzo più alto del biglietto se questo potesse contribuire a ridurre l'impatto della manifestazione sull'ambiente; il 71% potrebbe raggiungere il luogo dell'evento con i trasporti pubblici se l’offerta fosse inclusa nel costo di entrata; l'80% sente di essere personalmente responsabile della riduzione della quantità di rifiuti prodotti in occasione della partecipazione a concerti, festival e quant’altro; l'86% farebbe volentieri la raccolta differenziata durante questi momenti di festa, se ci fossero però gli appositi contenitori. Last but not least, il 43% ammette di aver cambiato il proprio atteggiamento quotidiano rispetto all’ambiente in seguito a iniziative e proposte sperimentate in occasione di manifestazioni “virtuose”.
Per illustrare il progetto, Sviluppumbria e Regione Umbria hanno organizzato un seminario, "Eventi e sostenibilità: esperienze a confronto", che servirà a mettere sul piatto i principali casi di studio europei e internazionali in tema di rispetto dell'ambiente ed eventi partendo proprio da quanto realizzato finora dalla Regione definita, per la sua sensibilità nei confronti di certe questioni, “cuore verde” d’Italia. Durante l’incontro si discuterà di temi cruciali quali l'impatto zero, la legacy, la mobilità, il coinvolgimento degli stakeholder (ovvero gli organizzatori), illustrando le esperienze realizzate in Italia sia alla Gran Bretagna che al Brasile, Paesi con i quali l'Umbria collabora da anni su varie tematiche, fra le quali appunto l'ecosostenibilità dei grandi eventi.
"Tutte le migliori pratiche in questo campo - continua Dall'Aglio - sono caratterizzate da un'analisi attenta dell'impatto prodotto e dalla messa in campo, spesso con il supporto di esperti, di misure correttive efficaci. Direi che le best practice si definiscono per ciò che non sono: per realizzare un evento a basso impatto ambientale è bene evitare le cosiddette azioni di greenwashing, ovvero quelle attività di compensazione che, pur messe in atto con l'intenzione di ridurre l'impatto ambientale sul pianeta, non incidono in nessun modo positivamente sull'approccio organizzativo dell'evento e non lo rendono quindi più ecosostenibile. Credo - conclude - che si debba puntare a massimizzare gli aspetti positivi di ogni manifestazione, soprattutto in termini di legacy, cioè del lascito che l'evento può avere sul territorio ospitante. Solo questo modo ogni iniziativa potrà diventare anche un laboratorio di innovazione sociale".