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''Gli sprechi penalizzano l'edilizia: si ricicla meno del 10% dei rifiuti''

Se si arrivasse al 70% di recupero dei materiali da costruzione e demolizione si potrebbero chiudere 100 cave di sabbia e ghiaia. Da un convegno organizzato dalla Commissione bicamerale d'inchiesta sul ciclo dei rifiuti parte la proposta di un rilancio del settore in chiave di economia circolare

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ROMA - E' al tempo stesso una riconversione economica e ambientale. Il settore edilizio ha un portafoglio dimezzato dal decennio di crisi e un'immagine logorata da oltre mezzo secolo di abusivismo, condoni, infiltrazioni della criminalità organizzata. Adesso prova a rinascere con l'economia circolare: invece di continuare a mangiare paesaggi scavando cave, si possono riciclare i materiali che vengono dal circuito della demolizione di edifici, strade, capannoni. Oggi questo mix di cemento armato, mattoni, telai delle finestre, vetro, cavi del circuito elettrico, tubazioni, ceramiche, asfalto è destinato in larga parte alla discarica: rappresenta una voce di costo che ruba altro territorio. Domani potrebbe diventare materia prima seconda per alimentare i cantieri di un recupero edilizio avanzato dal punto di vista energetico e antisismico.

Un'operazione che porterebbe vantaggi non trascurabili anche sul piano della legalità e della fiscalità perché costringerebbe il lavoro nero a emergere e ridurrebbe gli spazi dell'ecomafia. E infatti il convegno "Edilizia e infrastrutture: i rifiuti come materie prime", che oggi a Montecitorio ha lanciato questa proposta, è stato organizzato dalla Commissione bicamerale d'inchiesta sui rifiuti e dal Centro materia rinnovabile. L'incontro è stato concluso da Alessandro Bratti, presidente della Commissione bicamerale, che ha ricordato il ruolo positivo svolto dalla recente legge sugli ecoreati (sono 76 le indagini corso).

Si parte dai numeri. Il comparto dei rifiuti provenienti dalle attività di costruzione e demolizione (C&D) vale circa un terzo del totale dei rifiuti speciali. In Europa parliamo di 820 milioni di tonnellate di rifiuti, la voce più rilevante su una produzione totale di rifiuti pari a circa 2,5 miliardi di tonnellate. In Italia, secondo le stime ufficiali (Eurostat 2012), il settore C&D produce 53 milioni di tonnellate di rifiuti e un riciclo che viaggia attorno al 70%. Ma i Paesi Bassi, con una popolazione oltre quattro volte minore della nostra, sono a quota 81 milioni di tonnellate, la Germania a 197 milioni, la Francia a 247 milioni, il Belgio a 24 milioni, la Gran Bretagna a 100 milioni. In Italia abbiamo un movimento pro capite di materiali in edilizia 6 volte inferiore a quello dei Paesi Bassi oppure siamo meno interessati al recupero? I dati non tornano in parte perché i sistemi di misurazione non sono omogenei, in parte perché in Italia buona parte della lavorazione si effettua in nero.

Legambiente: in Italia quasi 5mila cave attive, 14mila sono abbandonate

In realtà, secondo i dati riportati al convegno, solo una minima parte dei materiali che vengono dal circuito della demolizione e costruzione viene effettivamente recuperata. "Mentre Paesi come Olanda, Irlanda, Germania e Danimarca riciclano tra il 91 e il 98% dei rifiuti da costruzioni e demolizioni, in Italia la stima è ferma al 9%: finché sarà più conveniente il conferimento in discarica, sarà difficile avvicinarsi a queste percentuali di riutilizzo", calcola Massimiliano Pescosolido, segretario generale di Atecap, l'Associazione tecnico economica del calcestruzzo preconfezionato aderente a Confindustria. Se si arrivasse al 70% di recupero dei materiali da costruzione e demolizione – aggiunge Legambiente - si potrebbero chiudere 100 cave di sabbia e ghiaia.

Tuttavia le soluzioni sono a portata di mano. Le proposte delle associazioni del settore vanno dalla creazione di un network tra le imprese della filiera all’uso dei macchinari di lavorazione degli inerti presenti in migliaia di cave per trasformare i materiali da demolizione in materiali immediatamente riutilizzabili nell’edilizia. Ma i nodi principali da sciogliere restano due. Il primo è la concorrenza sleale delle 4.800 cave attive (altre 12 mila sono a riposo o definitivamente chiuse). Secondo i dati forniti nel Rapporto cave di Legambiente, “le entrate degli enti pubblici dovute all’applicazione dei canoni sono ridicole in confronto ai guadagni del settore. Il totale nazionale di tutte le concessioni pagate nelle Regioni, per sabbia e ghiaia, arriva nel 2015 a 27,4 milioni di euro. Si tratta di cifre ridicole rispetto a oltre 1 miliardo di euro l’anno ricavato dai cavatori dalla vendita”. Se si adeguassero i canoni italiani agli standard della Gran Bretagna nelle casse pubbliche entrerebbero 545 milioni aggiuntivi all’anno e i materiali da riciclo risulterebbero più convenienti.

Il secondo nodo da sciogliere sono i ritardi legislativi. I decreti end of waste, che stabiliscono il confine tra i materiali che vanno considerati rifiuti e quelli che possono essere immediatamente riutilizzabili, sono in ritardo e ogni Regione li applica a modo suo. Per le imprese che scommettono sull’economia circolare la strada è ancora in salita.