Siccità e desertificazione: in Italia a rischio il 20% del territorio
Il 17 giugno la Giornata mondiale contro la desertificazione per monitorare un fenomeno preoccupante. Coldiretti: già perso un quarto del suolo coltivato per cementificazione e abbandono
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Non è solo l'avanzamento del Sahara a preoccupare i climatologi. La Giornata mondiale della desertificazione, dedicata quest'anno al tema "Cibo, mangimi e fibre", è un'occasione per fare il punto sui danni provocati dalla siccità, indagando sulle cause dell'impoverimento del suolo. La giornata è stata istituita nel 1995 nell'ambito della Convenzione delle Nazioni Unite con l'obiettivo di sensibilizzare l'opinione pubblica sul degrado dei suoli e il consumo di risorse idriche.
In Italia, secondo le stime Cnr-Anbi, ci sono aree in cui, a causa dei cambiamenti climatici e di pratiche agronomiche forzate, la percentuale di sostanza organica, contenuta nel terreno, è scesa al 2%, soglia per la quale si può iniziare a parlare di deserto. Le aree a rischio sono il 70% in Sicilia, il 58% in Molise, il 57% in Puglia, il 55% in Basilicata, mentre in Sardegna, Marche, Emilia romagna, Umbria, Abruzzo e Campania sono comprese tra il 30 e il 50%: nel complesso il 20% del territorio italiano rischia di diventare incoltivabile.
Per saggiare il terreno a San Donà di Piave (Venezia) l'Associazione nazionale dei consorzi per la gestione e la tutela del territorio e delle acque irrigue (Anbi) ha avviato una sperimentazione in un podere monitorato, dove sono state distribuite le matrici organiche, preliminari alla preparazione del letto di semina della soia. L'appezzamento è stato suddiviso in varie parcelle, su cui sono stati distribuiti quantitativi differenti di compost e digestato secco per avviare la coltivazione e vedere la risposta del terreno. L'esperimento, condotto in collaborazione con l'Università di Padova, ha anche l'obiettivo di valutare come l'impiego di pratiche agronomiche meno impattanti sui suoli possa rinvigorirne il contenuto di sostanza organica, che anche in vaste aree del Veneto orientale è sceso a livelli preoccupanti.
"Un terreno ricco di sostanza organica è un suolo naturalmente fertile, che trattiene meglio l'umidità e ha minor necessità di irrigazione", ha sottolineato Francesco Vincenzi, presidente del consorzio. La desertificazione, causata da condizioni climatiche ma anche antropiche, rappresenta l'ultimo stadio di degrado del suolo con conseguente perdita di produttività biologica e geologica, nonché annullamento dei servizi ecosistemici forniti dal terreno, causandone alterazioni difficilmente reversibili, che comportano l'impossibilità di gestire economicamente attività di agricoltura, silvicoltura e zootecnia.
"Un terreno vivo drena meglio l'acqua, aumentando la sicurezza idrogeologica - aggiunge Massimo Gargano, direttore generale di Anbi - per questo, l'utilizzo di ammendanti naturali è una scelta virtuosa non solo in termini di qualità e biodiversità, ma come importante tassello per incrementare, assieme alle nuove infrastrutture idriche di cui si stanno aprendo i cantieri, la resilienza del territorio alle conseguenze dei cambiamenti climatici. In Italia va superata la cultura dell'emergenza, che costa mediamente 7 miliardi all'anno in ristoro dei danni."
Secono la Coldiretti, l'ultima generazione è responsabile della perdita in Italia di oltre un quarto della terra coltivata (-28%) per colpa della cementificazione e dell'abbandono provocati da un modello di sviluppo sbagliato che ha ridotto la superficie agricola utilizzabile in Italia negli ultimi 25 anni ad appena 12,8 milioni di ettari. Mettendo così a rischio la biodiversità che ha fatto conquistare al nostro territorio un primato europeo, sottolinea la Coldiretti citando come esempi le 504 varietà iscritte al registro viti contro le 278 dei cugini francesi; le 533 varietà di olive contro le 70 spagnole; oltre alle 299 specialità Dop/Igp riconosciute a livello comunitario; 415 vini Doc/Docg, 5155 prodotti tradizionali regionali censiti lungo la Penisola e, infine, la leadership nel biologico con 72 mila operatori.
La perdita di terreno produttivo vuol dire anche incorrere in nuove minacce per la nostra salute. "La correlazione esistente tra la tutela degli ecosistemi e la tutela della salute umana - spiega Raniero Maggini presidente del Wwf Roma e area metropolitana - si è ancora una volta svelata in tutta la sua portata anche in questi mesi di diffusione del Covid-19. Non possiamo permettere dunque di perdere ancora biodiversità, garanzia anche per il nostro benessere, in nome di un modello di sviluppo, stereotipato quanto superato, che continua a sacrificare natura, interi ecosistemi".
Alla perdita di biodiversità, di suolo fertile e coltivabile concorre nel nostro territorio l'assenza di una corretta programmazione urbanistica, spesso alterata da varianti in deroga prevalentemente generate da interessi di pochi a svantaggio dei più. "L'assenza di una sana programmazione urbanistica - aggiunge Maggini - pesa irreversibilmente sulle risorse naturali alla base della nostra vita, della nostra stessa quotidianità. Basti pensare all'acqua, alla sempre maggiore richiesta che ne facciamo, che ne fa l'avanzata del cemento nel territorio dell'area metropolitana di Roma capitale."
Lo ha dimostrato la crisi idrica che colpì il lago di Bracciano nel 2017 e le cui conseguenze sono fortemente visibili ancora oggi, con la nuova quota idrometrica che si attesta intorno ai meno 166,5 centimetri rispetto al 2015, quando il lago si trovava intorno allo zero idrometrico ed era al colmo della sua capacità. "La crisi idrica del lago di bracciano è sintomatica di un uso irrazionale del territorio, - conclude il Wwf Roma - degli effetti prodotti dai cambiamenti climatici che il continuo consumo del suolo amplificano, della voracità con la quale attingiamo alle risorse naturali, acqua in primis".