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Il fungo che vive a Chernobyl come scudo spaziale

Il Cladosporium sphaerospermum utilizza le radiazioni gamma ancora presenti nella centrale nucleare ucraina per ricavare energia chimica. Un esperimento sulla Iss sembra dimostrare la sua utilità per schermare le radiazioni cosmiche per missioni di astronauti verso la Luna o Marte

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La Stazione Spaziale Internazionale (Credits: Esa)
La Stazione Spaziale Internazionale (Credits: Esa) 
Le radiazioni uccidono la vita, ma non tutta. Qualcuno addirittura se ne nutre, trasformando la radioattività in energia da consumare e riesce a proliferare anche in uno dei luoghi forse più inospitali del mondo, in quanto a emissioni di questo tipo: le vasche di raffreddamento di Chernobyl. Proprio lì gli scienziati, anni fa, hanno scovato un fungo che potrebbe servire creare degli scudi per radiazioni nello spazio profondo, per le future missioni sulla Luna o su Marte, dove gli astronauti non potranno contare sulla protezione del campo magnetico terrestre. Lo studio che propone di usare questa biotecnologia non è ancora pubblicato su una rivista, attende una revisione ed è disponibile nell’archivio online ad accesso libero, bioarxiv. Ma le conclusioni a cui giungono i ricercatori dell’Università del North Carolina, Stanford e Nasa Ames research center, sembrano promettenti.
Cladosporium sphaerospermum (foto: Medmyco/CC BY-SA via Wikimedia Commons)
Cladosporium sphaerospermum (foto: Medmyco/CC BY-SA via Wikimedia Commons) 

Funghi estremi

Alcune specie di funghi scoperti una trentina di anni fa nei pressi e all’interno della centrale nucleare ucraina, teatro del più grave incidente radioattivo nella storia, sembrano usare le radiazioni come ‘carburante’ per quella che è stata definita 'radiosintesi'. I raggi gamma, i più potenti, ionizzanti e pericolosi per l’uomo, vengono convertiti in energia chimica grazie alla melanina, di cui sono forniti. Una coltivazione di uno di questi funghi (Cladosporium sphaerospermum) è stata inviata per un esperimento sulla Stazione spaziale internazionale. Lo scopo era verificare la possibilità di coltivarli in microgravità ma, soprattutto, testare i loro 'superpoteri'.

A Chernobyl il livello di radiazioni è centinaia o migliaia di volte più intenso rispetto a quello di fondo. Qualche numero: "Durante un anno, in media, una persona sulla Terra è esposta a circa 6,2 millisievert (un millesimo di Sievert, l’unità di misura delle dosi di radiazioni ndr) - scrivono gli studiosi nel paper - mentre un astronauta sulla Stazione spaziale internazionale (che è protetto dall’abbraccio del campo magnetico terrestre ma non dall’atmosfera ndr) è esposto approssimativamente a 114 mSv. Su una missione di tre anni, in un anno, un astronauta sarebbe esposto a circa 400 mSv, principalmente da radiazione cosmica galattica".
 

Secondo i ricercatori, uno strato spesso appena 1,7 millimetri, durante un mese di permanenza, ha ridotto di almeno l’1,8% il livello di radiazione, fino a un massimo di 5,4%. Un ipotetico scudo spesso 21 centimetri potrebbe "abbondantemente annullare la dose annuale equivalente delle radiazioni ambientali sulla superficie di Marte. Mentre [uno strato di] nove centimetri sarebbe necessario in un miscuglio equimolare di melanina e regolite marziana". Un mix di terra rossa e funghi in parti uguali basterebbe, dunque, a scongiurare le possibili conseguenze dell’esposizione alle radiazioni. Recenti studi ipotizzano che oltre a causare tumori, una lunga esposizione a radiazioni cosmiche potrebbe compromettere anche la capacità di prendere decisioni e lavorare in team. Mettendo a rischio l’intera missione.

Lo scudo si fa da sé

L’attenzione per il fungo ha ragioni pratiche molto importanti. Finora uno degli scogli tecnologici più ardui per progettare e realizzare una missione interplanetaria umana riguarda proprio la costruzione di uno scudo per le radiazioni sottile e leggero. Sappiamo infatti che l’acqua, per esempio, è un ottimo baluardo contro la doccia di radiazioni che attende un astronauta fuori dalla protezione del campo magnetico terrestre. Ma ogni carico da lanciare nello spazio costa migliaia di dollari al chilo.

 
L’ideale quindi sarebbe riuscire a 'coltivare' lo scudo in orbita, durante il viaggio verso, poniamo, Marte (che non ha un campo magnetico e possiede un’atmosfera molto rarefatta), o direttamente in situ, usando, come suggerisce la ricerca, un misto di funghi e polvere marziana. La stessa soluzione potrebbe essere usata per la Luna. Il programma Artemis e la base spaziale in orbita cislunare, il Gateway, sono missioni che prevedono la permanenza di astronauti anche per settimane, fino a immaginare una colonia con un presidio permanente nei prossimi decenni.
 

Agenzia spaziale, la base lunare costruita con la stampa 3D


Quello dell’utilizzo delle risorse 'in situ' una volta messo piede su un altro Pianeta (che sia la Luna o Marte, gli unici due mondi alla nostra portata per ora) è uno dei settori di ricerca più battuti dalle agenzie e i centri di ricerca spaziali. È impensabile, infatti, voler costruire un insediamento a lungo termine solo con materiali ed energia portate o spedite da Terra. L’acqua (da bere certo, ma per ricavarne ossigeno da respirare e idrogeno come carburante), la polvere come materiale da costruzione, o il carbonio e ancora l’ossigeno dall’atmosfera marziana, oppure pensiamo alle caverne laviche lunari o sul pianeta rosso, come possibili rifugi al riparo da radiazioni e micrometeoriti. Sono alcuni esempi dello sfruttamento di risorse senza dover impiegare energia e costi altissimi per inviare il pacco da casa.