

Tutto ha inizio, in questo caso, quando un paio di anni fa il team di Akihiko Yamagishi della Tokyo University e principal investigator della mission Tanpopo (l'esperimento allestito sulla Stazione spaziale proprio per testare la validità della teoria della panspermia) ha trovato dei batteri a 12 km di altezza dalla superficie terrestre resistenti alle radiazioni. Per capire fino a che punto si spingesse la loro capacità di resistere ad ambienti estremi, i ricercatori hanno piazzato delle colonie (liofilizzate) di questi batteri fuori dalla stazione spaziale, sottoforma di aggregati con diverso spessore, lasciandoli là per un periodo variabile da uno a tre anni. Nel vuoto, esposti non solo a radiazioni ma anche a temperature variabili. Senza protezioni 'dure', come quelle offerte da rocce, che è già noto possono far sopravvivere microrganismi in condizioni simili, ricordano gli esperti.

Gli scienziati hanno così osservato che piccoli aggregati di batteri – spessi appena mezzo millimetro – possono sopravvivere nello spazio fino a tre anni. O meglio, possono farlo i batteri che si trovano all'interno, quelli schermati dai batteri più esterni, al punto che se coltivati mostrano capacità di riparare gli errori del loro DNA (indotti dall'esposizione alle radiazioni UV). Basandosi su quanto osservato nell'esperimento e facendo delle stime, i ricercatori hanno calcolato che nello spazio interplanetario aggregati con uno spessore maggiore di mezzo millimetro potrebbero sopravvivere dai 2 agli 8 anni.

Cosa significa tutto questo? Spingendosi ancora oltre con qualche calcolo e stima, è possibile secondo i ricercatori che i batteri sopravvivano a viaggi interplanetari della durata di mesi o di qualche anno, tra Marte e la Terra o il contrario. Magari a bordo di qualche meteoroide. Anche considerato che in media simili viaggi sono ben più lunghi, dell'ordine di qualche milione di anni – si legge nel paper – e che le rotte più brevi sono alquanto rare. Ma resta comunque uno scenario possibile. Tanto che, scrivono i ricercatori: “Questi risultati supportano la possibilità che aggregati di cellule possano funzionare come un'arca per il trasferimento interplanetario di microbi in un tempo di qualche anno”.