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L'intervista

"Clima, ecco perché piantare alberi può fare la differenza"

Susan Trumbore, a capo del Max Planck Institute for Biochemistry di Jena, insegna Scienze ambientali alla University of California (Credits: Anna Schroll/BGC Portraits)
Susan Trumbore, a capo del Max Planck Institute for Biochemistry di Jena, insegna Scienze ambientali alla University of California (Credits: Anna Schroll/BGC Portraits) 
Il team di Susan Trumbore, a capo del Max Planck Institute for Biochemistry, studia per capire come e quanta CO2 viene assorbita da piante e suolo. E trovare soluzioni al riscaldamento globale
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Gli alberi e il suolo sono preziosi alleati nella battaglia contro il riscaldamento globale, ma capire quanta CO2 possono sottrarre dall'atmosfera non è facile. Servono studi come quelli di Susan Trumbore, ricercatrice che dirige il Max Planck Institute for Biochemistry di Jena, in Germania, ed è docente di Scienze ambientali alla University of California. Per i risultati ottenuti nella stima di anidride carbonica conservata nei continenti, Trumbore ha vinto di recente uno dei quattro Premi Balzan da 700.000 euro da destinare alla ricerca, di cui la metà con giovani scienziati.
 
(Credits: Anna Schroll/BGC Portraits)
(Credits: Anna Schroll/BGC Portraits) 

Professoressa Trumbore, come è nata la sua passione per l'ambiente?
"Da bambina vivevo vicino a un bosco e ci andavo sempre a giocare. Poi ricordo che una volta, avevo 11 anni ed era la prima Giornata della Terra, con mio fratello ci siamo aggiunti ai volontari per ripulire un parco locale, e siamo rimasti sorpresi da quanti rifiuti abbiamo potuto raccogliere. Poi negli anni Settanta mi sono appassionata alla causa ambientale."
 
E il suo interesse per la scienza?
"Alle scuole superiori abbiamo avuto un corso di scienza della Terra, qualcosa di poco usuale per le scuole americane di quel tempo. La cosa che mi affascinava era il poter prendere un sasso e raccontare in che modo si era formato e da dove veniva. Diversamente dalle altre materie, dove potevi semplicemente memorizzare informazioni e usarle nei test, con la scienza ambientale dovevi ricostruire una storia e fornire le prove a supporto: in pratica dovevi pensare di più. E ciò mi piaceva."
 

Perché lo studio del ciclo del carbonio è importante per contrastare il riscaldamento globale?
"La domanda principale della mia ricerca è: quanto tempo serve a un atomo di carbonio per abbandonare l'atmosfera e fissarsi su una pianta, attraverso la fotosintesi? E quanto tempo serve a quel carbonio per muoversi attraverso la pianta e il suolo per poi ritornare in atmosfera? È una domanda importante, perché ci guida nei tentativi di immagazzinare CO2 nella vegetazione e nei suoli. Cercando di fare in modo che torni in atmosfera il più tardi possibile. Questo ci aiuta a capire quali processi riescono a tenere il carbonio nelle piante e nel terreno, così possiamo studiare il modo di potenziare questi processi."
 
Quali processi permettono di conservare più a lungo il carbonio nel suolo?
"Un esempio sono i materiali carboniosi che si ottengono degradando termicamente la biomassa. Non rimangono nel suolo per sempre, ma a seconda della loro composizione chimica e di certi altri fattori, possono trattenere il carbonio nel suolo per tempi brevi o per centinaia e forse anche migliaia di anni. Perché questo biochar ottenuto dalle biomasse rimane nel suolo più a lungo prima di decomporsi, rispetto ai materiali organici che non sono stati carbonizzati. Un'altra idea prende spunto dal fatto che il carbonio che, in natura, rimane a lungo nel suolo è spesso associato con dei minerali. Si accumula molto lentamente, ma può rimanere nel suolo per molto tempo. L'idea è estrarre la CO2 dall'atmosfera e fissarla formando questi minerali a partire da rocce polverizzate, ad esempio il basalto, e sparse nel terreno. In natura questa trasformazione della CO2 in bicarbonato si ha quando la pioggia, in tempi di milioni di anni, frammenta le rocce. Usando rocce polverizzate si accelera il processo e questa 'polvere di roccià fornisce più nutrienti alle piante, permettendo di ridurre l'uso di fertilizzanti. E i minerali che si formano possono stoccare il carbonio per centinaia di anni."
 

E per scegliere tra queste strategie è utile conoscere il ciclo del carbonio...
"Ad esempio se una pianta ha radici dove si può stoccare carbonio per centinaia di anni, allora quella è una soluzione interessante. Se invece le radici sono meno longeve, il carbonio che contenevano potrebbe comunque rimanere a lungo nel terreno sotto forma di materia organica invece di liberarsi. Non c'è una sola soluzione. Ci sono alcuni luoghi dove si possono ripiantare alberi in modo da immagazzinare CO2 finché vivono. In altri luoghi, invece, dove il terreno è degradato, è preferibile ripristinare la materia organica del suolo usando il carbonio così da trattenerlo nel suolo e rendere quei suoli più fertili."
 
Oggi abbiamo capito tutto quello che dovevamo capire sul ciclo del carbonio, o abbiamo bisogno di nuovi progressi su questo fronte?
"Ci sono ancora molte cose da capire sul ciclo del carbonio. Oggi sappiamo che di tutta la CO2 che emettiamo, soltanto metà è quella che si accumula nell'atmosfera. C'è un 25% che si dissolve negli oceani e un altro 25% che si fissa sulla terra, ma ancora non sappiamo bene dove. Sappiamo che una gran parte di questa si è fissata nella riforestazione che c'è stato in Europa e Nord America nell'ultimo secolo. Ipotizziamo che le piante stiano facendo più fotosintesi perché c'è più CO2 nell'atmosfera. Ma non sappiamo bene quanto del carbonio fissato da un albero venga usato per la crescita o per mantenere riserve energetiche per i periodi nei quali l'albero non può fotosintetizzare quanto necessita. E dobbiamo capire quanto carbonio l'albero ceda ai microbi del sottosuolo in cambio di altri nutrienti."
 

A proposito di riforestazione, cosa pensa di iniziative come la Trillion Tree Campaign, che ha l'obiettivo di piantare mille miliardi di alberi entro il 2050?
"Può fare la differenza. L'importante è che gli alberi siano piantati dove possono sopravvivere e crescere. Una buona parte dello stoccaggio del carbonio, oggi, è dovuto alla ricrescita di alberi in zone che una volta erano boschive. È importante controbilanciare gli effetti della deforestazione. Oggi con le foreste che vengono bruciate nelle zone tropicali aggiungiamo all'atmosfera una quantità di carbonio che, pur essendo solo un decimo di quella derivata dai combustibili fossili, è pur sempre significativa. Bisogna anche considerare la competizione che c'è per l'uso della terra: c'è chi vuole piantare alberi per immagazzinare CO2, c'è chi vuole usare la terra per colture utili ai biocarburanti, e ovviamente chi la vuole usare per l'agricoltura. Se si piantano gli alberi per ottenerne biocarburanti, allora si finirà per liberare la CO2 in breve tempo. Se invece si stocca la CO2 in alberi che poi diventano mobili o case di legno, allora ciò terrà la CO2 stoccata per decine e magari centinaia di anni, e questo è preferibile."
 
A cosa serve il "Global Database of Soils" che lei ha fondato?
"Con il carbonio 14 possiamo capire quanto a lungo la CO2 rimane nei suoli, e quanto questa durata possa variare dai tropici alle zone ad alta latitudine. Questo ci fa anche capire quanto il carbonio sia sensibile ai cambiamenti climatici del futuro. Ad esempio di quanto i climi più caldi possono accelerare la sua decomposizione. Purtroppo questi dati ancora non sono molto usati da chi prepara i modelli climatici globali. Per questo noi, con la collaborazione di ricercatori da tutto il mondo, stiamo costruendo un database globale che registri il comportamento del carbonio nel suolo nelle varie aree del pianeta. Nell'ambito di questo progetto, abbiamo pubblicato di recente uno studio su Nature Geoscience dove segnaliamo che i modelli climatici dell'Ipcc sono leggermente troppo ottimistici riguardo a quanto carbonio sia stoccato nel suolo a livello globale."