I collageni marini rischiano di sparire nel giro di tre anni, generando danni all’ecosistema. L’incremento annuale del 6% della domanda di questa proteina fibrosa, insieme alla richiesta mondiale stimata nel 2019 di 920 tonnellate, potrebbe provocare l’estinzione dell’organismo. Il tesoro a cui attingono avidamente case farmaceutiche, aziende mediche e industrie cosmetiche si trova esclusivamente nelle profondità del Mediterraneo e limitatamente nell’Atlantico Nord Orientale.
La preziosa specie, che si chiama Chondrosia Reniformis, fu individuata per la prima volta nel 1847 dal naturalista Giandomenico Nardo: ha uno scheletro diverso da tutte le altre spugne perché è ricco della proteina, molecola della giovinezza: “Ha la consistenza simile a quella di un tendine – afferma la professoressa Marina Pozzolini del laboratorio di biologia molecolare dell’università di Genova -, il suo collagene presenta qualità antiossidanti uniche. Insieme all’università di Tel Aviv abbiamo notato che la Chondrosia Reniformis cambia la sua struttura in base alle temperature. D’estate la spugna produce collagene più stabile ed efficace per curare l’uomo”.
Per evitarne la fine, israeliani, tedeschi, olandesi, portoghesi e greci hanno cominciato a sperimentare delle grandi vasche artificiali dove poter coltivare la specie. Ma l’Italia ha qualcosa in più rispetto a tutti gli altri: la possibilità di sfruttare il Mare Adriatico come bacino naturale per la sua coltivazione: “L’Adriatico settentrionale, soprattutto, è una piattaforma ricca di nutrienti – spiega il professor Cerrano - visto che d’inverno raggiunge i 7 gradi centigradi. Non solo, il fatto di essere isolato agevola la presenza di varietà autoctone. Anche il fiume Po contribuisce ad arricchire la crescita delle particolari spugne che raggiungono dimensioni più grandi rispetto al resto della specie. Nell’Adriatico c’è il 40% del patrimonio del Mediterraneo”.
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