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I 100 giganti che "comandano" gli oceani. Da soli hanno introiti pari al Pil del Messico

I 100 giganti che "comandano" gli oceani. Da soli hanno introiti pari al Pil del Messico

Una nuova ricerca racconta quali sono le società internazionali che, dal petrolio al trasporto sino al turismo, hanno più influenza sui mari del pianeta. E perché potrebbero tracciare un futuro più sostenibile

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Chi comanda gli oceani? In termini economici, se unissimo tutti i  principali gruppi e le compagnie del mondo che operano sfruttando le risorse degli oceani globali, otterremo un Paese che conta praticamente il Pil del Messico. Una potenza capace di generare entrate per oltre 1,1 migliaia di miliardi di dollari, come accaduto nel 2018. Questo gruppo di società, fra cui risultano anche alcune italiane come Eni o Fincantieri, è stato chiamato "Ocean 100"  in un recente studio pubblicato sulla rivista Science Advances dai ricercatori della Duke University e dello Stockholm Resilience Center dell'Università di Stoccolma. Con "Ocean 100" gli studiosi indicano i cento "giganti" dei mari, in cui ai primi posti si contano compagnie come le note Saudi Aramco, Petrobas, Exxon Mobile, Total e altre.

Le "Ocean 100" sono dunque le cento principali compagnie che operano nei mari, dal mondo dell'energia e delle imprese di oil e gas sino alla pesca, le costruzioni, le operazioni offshore, il turismo, il trasporto navale e i tanti diversi ambiti che includono l'uso degli oceani. Se fossero raggruppate in un solo Paese, sarebbero la sedicesima potenza economica più grande del mondo. La nuova ricerca ha tentato di individuare e raggruppare il valore e l'impatto di queste 100 società internazionali, che nel 2018 rappresentavano oltre il 60% degli 1,9 trilioni di dollari generati da tutte le industrie dell'economia dell'oceano.

Gli oceani, che ricoprono oltre il 70% della superficie della Terra, sono oggi una risorsa economica sfruttata in più forme, nonostante la loro salute a causa delle azioni dell'uomo e degli impatti della crisi climatica sia sempre più fragile. Attorno agli oceani, sostiene un report Ocse del 2020, si basa la sopravvivenza di circa tre miliardi di persone. Se da una parte è necessario, per sostenere l'economia globale, lo sfruttamento di una larga parte delle risorse del mare, che ci consentono approvvigionamenti sia a livello di energie, di trasporti e come risorse alimentari, dall'altra gli oceani sono però tutt'oggi ancora estremamente poco protetti.
 
Si stima che soltanto l'8% degli oceani sia protetto e conservato grazie a politiche mirate, come le aree marine protette, le riserve e altre forme di tutela. Allo stesso tempo, sebbene sia fondamentale l'apporto delle grandi compagnie citate negli equilibri economici internazionali, lo sfruttamento delle risorse dell'oceano sta portando nel tempo a notevoli rischi, che vanno dall'inquinamento, alla sovrapesca sino alla perdita di biodiversità e all'accelerazione della crisi legata al cambiamento climatico.

Ad oggi, secondo il report, i maggiori guadagni ed introiti dei giganti dell'oceano derivano soprattutto da trivellazioni e impianti offshore, fra cui risultano diverse delle prime dieci aziende in classifica. In media, le 10 aziende più grandi di ciascun settore hanno assorbito il 45% del fatturato totale di tale settore. Unica azienda non legata al petrolio nelle prime dieci è la compagnia di navigazione danese AP Møller – Mærsk.
"Ora che sappiamo chi sono alcuni dei maggiori beneficiari dell'economia degli oceani questo ci può aiutare a migliorare la trasparenza relativa alla sostenibilità e alla gestione degli oceani stessi" ha spiegato uno degli autori della ricerca, John Virdin, direttore dell'Ocean and Coastal Policy Program del Duke's Nicholas Institute. “L'esiguo numero di aziende che dominano questi settori riflette probabilmente elevate barriere all'ingresso nell'economia degli oceani. Sono necessarie molte competenze e capitali per operare in mare, sia per le industrie consolidate che per quelle emergenti".

Tra gli otto settori studiati dalla ricerca ci sono in particolare petrolio e gas offshore, attrezzature e costruzioni marittime, produzione e lavorazione di prodotti ittici, trasporto di container, costruzione e riparazione navale, turismo da crociera, attività portuali ed eolico offshore. Il petrolio e il gas offshore dominano la lista Ocean 100 con un fatturato combinato di 830 miliardi di dollari. Secondo gli autori del report, i giganti dei mari hanno oggi una posizione unica per cercare di migliorare, in termini ambientali, i modelli legati al futuro dell'estrazione e dello sfruttamento degli oceani.

"I dirigenti di queste poche, ma grandi aziende, sono in una posizione unica per esercitare la leadership globale nella sostenibilità" ha spiegato il coautore dello studio Henrik Österblom, direttore scientifico dello Stockholm Resilience Center. "Il fatto che queste società abbiano sede in un piccolo numero di Paesi dimostra anche che le azioni concertate di alcuni governi potrebbero cambiare rapidamente il modo in cui il settore privato interagisce con l'oceano" ha aggiunto.

"Gli oceani saranno sempre più centrali per l'economia globale nel XXI secolo" sottolinea anche Dan Vermeer, direttore esecutivo del Center for Energy, Development and the Global Environment (EDGE). "Una delle nostre maggiori sfide è sostenere ecosistemi oceanici sani con l'aumento dell'uso economico e l'accelerazione degli impatti climatici. Questo studio conferma che un numero relativamente piccolo di aziende sarà al centro di questa sfida e avrà una reale opportunità di leadership".

 

Anche per cercare di migliorare il rapporto fra economia e salute degli oceani, basandosi su un altro report pubblicato su Plos One nel 2015 (che sosteneva ad esempio come solo 13 società controllano il 19-40% degli stock ittici maggiori), i ricercatori sostengono che attraverso alcune iniziative, come SeaBOS (Seafood Business for Ocean Stewardship), sia necessario  mettere sempre più in contatto scienziati e leader del mondo economico per un impatto più sostenibile (in questo caso relativo alla pesca). 

 

In sostanza, come si legge nel abstract dell'articolo pubblicato, i ricercatori per garantire un futuro equilibrio fra salute degli oceani ed economia dei mari indicano la necessità di "allineare le attività della crescente economia oceanica con gli obiettivi politici globali per un uso e una conservazione più sostenibile degli oceani. Questo richiederà non solo il miglioramento delle normative governative, ma anche una maggiore cooperazione tra governi, società civile, scienziati e settore economico privato".