Quando perdiamo un prodotto alimentare non stiamo solo rendendo la nostra dieta meno ricca, ma stiamo diventando più poveri e vulnerabili, e non solo come specie umana. Perché la diversità biologica è fondamentale per la nostra vita sulla Terra così come la conosciamo. Ma non altrettanto centrali e concrete sono le politiche in atto per difenderla. Nel 2019 la Fao ha dichiarato che “la biodiversità è indispensabile per la sicurezza alimentare” e “una risposta chiave per aumentare la produzione alimentare, limitando al contempo gli impatti negativi sull’ambiente per raggiungere gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDG) dell’Agenda 2030”.
Nonostante il ruolo essenziale che riveste da sempre, il riconoscimento scientifico e di importanti organizzazioni mondiali, il processo di erosione della biodiversità non è stato interrotto, anzi prosegue senza sosta. Qui c’è un responsabile facilmente individuabile: l’uomo. Inquinamento, urbanizzazione, deforestazione, prosciugamento delle zone umide e una cattiva gestione dell’agricoltura distruggono la vita allo stato naturale. Ma, ad esempio, la diffusione della monocoltura e degli allevamenti intesivi prosegue incurante degli allarmi che stanno giungendo da più parti.
L’agricoltura moderna ha spinto gli agricoltori a far uso di poche specie e varietà di piante e animali. Il settore è sempre più concentrato nelle mani di poche multinazionali che, per avere il controllo sulle risorse genetiche (vegetali e animali), puntano a diffondere in ogni parte del mondo un numero sempre più ristretto di varietà vegetali e di razze animali. Un dato: oggi il 63% del mercato dei semi è controllato da quattro multinazionali. E, guarda caso, sono le stesse che producono diserbanti, fertilizzanti, pesticidi e, per finire, possiedono i brevetti Ogm.
La Fao stima che nell'ultimo secolo siano scomparsi tre quarti delle diversità genetiche delle colture agricole. Nella maggior parte dei casi si tratta di quelle specie che meglio si erano adattate ai terreni e ai climi in cui venivano coltivate o allevate, spesso in aree povere o marginali. Richiedono meno impiego di risorse preziose, come l’acqua, o di input esterni, spesso costosi e dannosi per l’ambiente, come fertilizzanti chimici o antibiotici per gli animali. Non c’è più tempo da perdere. Sempre secondo la Fao, il collasso dell’intero sistema di produzione alimentare è inevitabile se non invertiamo lo stato delle cose entro 10 anni. Con questo non voglio dire che dobbiamo concentrarci su quello che abbiamo perso, anzi. Dobbiamo guardare al futuro con un diverso modo di operare. Ripensare un’agricoltura che mantenga viva la biodiversità del suolo e delle colture (e anche delle culture).
Un'insalata ci salverà. "Se non cambiamo dieta, nessun futuro"
Occorre però un cambiamento di rotta. Abbandonare un modello produttivo che ha creato disastri ambientali e sociali. Bisogna che noi e la politica facciamo di più. Per questo guardiamo con speranza alle strategie della Commissione Europea Farm to Fork e Biodiversità 2030. Speriamo che sia l’inizio per una vera e sentita "transizione (per usare una parola molto in voga in questi giorni) ecologica". Di un cambiamento del modo di coltivare dove biodiversità, agroecologia, benessere animale, stop al consumo di suolo non siano solo buone intenzioni ma l’oggetto per un operare concreto. Dove, in campo agricolo, una ricerca libera e pubblica riesca a leggere le esigenze vere del nostro pianeta.
Più di vent’anni fa abbiamo dato vita a progetti come l’Arca del Gusto e i Presìdi Slow Food, che hanno permesso di riunire e sostenere migliaia di produttori che in tutto il mondo custodiscono quotidianamente la biodiversità con il loro lavoro. Li abbiamo fatti conoscere al grande pubblico e li abbiamo messi in contatto con migliaia di cuochi, artigiani e bottegai che hanno scelto i loro prodotti, contribuendo a generare piccole e preziose economie locali. Ecco, oggi abbiamo bisogno di tradurre questa parola magica, universale e trasversale, che è biodiversità, in azioni concrete che abbiano ricadute tangibili per le comunità. Solo così ogni singolo prodotto potrà contribuire a salvare la biodiversità agricola e alimentare, e con essa la salute dell’uomo e del pianeta.