La forma è sostanza. Tranne, si può dire, quando ci si trova davanti alle icone, nel cui caso il contenuto (la "sostanza") può assumere "forme" (e involucri) differenti. Come per la Coca-Cola che, prossimamente, verrà versata anche da bottiglie di cartone. E, in questo caso, il "veicolo" – che diviene più ecofriendly e rispettoso delle nuove sensibilità dei consumatori della generazione Greta – è davvero il puro medium di un logo inconfondibile, come quello dei marchi che riescono a tramutarsi in brand (ancor più quando autenticamente globali). E si rivela appunto difficile trovare un simbolo della società dei consumi di massa più conosciuto della Coca-Cola da un capo all’altro di quel Villaggio globale dove ha portato l’immagine del Paese che l’ha inventata.
Coca-Cola, rivoluzione anti plastica: arriva la bottiglia di carta
Nel caso della bevanda creata dal farmacista John Pemberton l’identificazione con gli Stati Uniti (anche in chiave di soft power) risulta, infatti, totale: Coca-Cola uguale Usa. Anche grazie a una serie di strategie di marketing che, dal 1888 (l’anno di fondazione della corporation), si sono succedute senza sosta, orientando l’immaginario dei consumatori occidentali, e poi mondiali. Al punto che, in certo qual senso, anche il Babbo Natale contemporaneo è made in Atlanta (sede della multinazionale).
Gli avvocati dell’azienda scelsero come strategia difensiva quella di sostenere che bambini e ragazzini rappresentavano una fetta limitatissima del pubblico dei consumatori. Il risultato sarà una consuetudine che vieterà per i settant’anni successivi l’impiego di minori (under 12) nella pubblicità della bibita.
Niente più folletti e atmosfere troppo favolistiche, quindi, ma un Babbo Natale iperrealista che, passata l’era della paura della Grande depressione, finì per incarnare i valori di ottimismo e fiducia nel futuro dell’American way of life. E il resto – dalle bottigliette nella Pop art al logo che compare in Blade Runner – è storia della cultura di massa.