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Il riscatto di ExxonMobil: la barriera corallina rinasce sulla piattaforma fantasma

La piattaforma Lena in Lousiana (Exxon)
La piattaforma Lena in Lousiana (Exxon) 
Dopo essere andata in pensione la società si è adoperata per un complesso lavoro di messa in sicurezza scollegando la struttura Lena dal fondo del mare e facendola ribaltare. Così è diventata un coral reef artificiale
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NEW YORK - Una piattaforma petrolifera come barriera corallina. Non è una perversa utopia fatta circolare ad arte da qualche eco-scettico, piuttosto è il risultato di una opportuna dismissione e messa in sicurezza di strutture off-shore un tempo dedicate alla produzione di idrocarburi. È il caso, ad esempio, della Lena, piattaforma petrolifera di proprietà di ExxonMobil che si trova a circa 80 chilometri a sud-est di Grand Isle, al largo delle coste della Louisiana.

Ovvero nel cuore di quel Golfo del Messico che undici anni fa fu teatro del disastro ambientale (provocato dall'uomo) più grave della storia americana, quello della piattaforma Deepwater Horizon, affiliata a BP. Questa volta però la piattaforma in questione, la Lena appunto, è protagonista in positivo. Dopo essere andata in pensione la società si è adoperata per un complesso lavoro di messa in sicurezza scollegando la struttura dal fondo del mare e facendola ribaltare. Adesso così è una barriera corallina artificiale.


Attenzione, nulla di straordinario. La legge degli Stati Uniti prevede che quando una struttura off-shore cessi la propria attività la società che si occupa della gestione deve prepararsi a sigillarla smantellando l'impianto di perforazione e riportando il fondo dell'oceano alla sua condizione originale. Questo per impedire che la struttura lasciata in piedi, seppur in disuso, possa arrecare danni ambientali magari in seguito a eventi catastrofici come gli uragani. La struttura viene quindi ribaltata e si trasforma in una specie di cattedrale degli abissi diventando col tempo la dimora di coralli, mitili e altre specie di flora marina. Tanto da creare, già dopo un quarto di secolo, un vero e proprio ecosistema consolidato.


Sono circa 1.700 gli impianti di perforazione nel Golfo del Messico che sono stati sottoposti a trattamenti di smantellamento, collettivamente sono chiamati "ferro inattivo". Invece di essere rimosse, 560 piattaforme statunitensi sono state lasciate sott'acqua e sono diventate barriere artificiali permanenti dagli anni '80. "Non esiste una struttura tipica, variano in ampiezza e a seconda delle loro caratteristiche", ha affermato Mike McDonough del Dipartimento della fauna selvatica e della pesca della Louisiana.

Il programma "Rigs to reefs" (da piattaforme a barriere) rendono felici coralli, crostacei, pesci e pescherecci. E sono più economici per le compagnie petrolifere: il "reefing" costa la metà del budget che serve per lo smantellamento completo. Le aziende a loro volta versano la metà dei risparmi agli Stati che si assumono la responsabilità di gestione e sorveglianza dei siti delle nuove barriere artificiali.



ExxonMobil ha sperimentato per la prima volta un reef artificiale nel 1979. Louisiana e Texas sono gli stati con i più grandi programmi di "reefing", sebbene anche Mississippi e California si siano cimentati in progetti del genere. Tra il 2012 e il 2018, ad esempio, la Louisiana ha guadagnato quasi  562.000 dollari per impianto. Il Texas ha già trasferito a terra almeno la metà dei suoi impianti di perforazione disponibili, mentre la Louisiana ne ha convertiti solo un terzo. Con la ristrutturazione dell'industria petrolifera a livello globale, questi stati "dovrebbero iniziare a pianificare un futuro in cui il reddito generato dai progetti futuri diminuisce", spiegano gli esperti. La disattivazione di un'operazione off-shore è un'opera imponente. La pianificazione richiede anni di lavoro tra più agenzie statali e federali e l'azienda stessa. La Lena Compliant Tower di ExxonMobil pesava 27 mila tonnellate, e l'intera struttura era di 15 metri più alta dell'Empire State Building (a sua volta alto 443 metri).


Ci sono tre modi per trasformare un "rig" in un "reef". Può essere rimorchiato in un'area designata a barriera corallina altrove nel Golfo. A volte può essere lasciato in posizione, se si trova ad almeno 25 metri sotto la superficie. Oppure, come nel caso della Lena, può essere "rovesciata sul posto". Gli ambientalisti da parte loro si dividono sulla reale utilità della trasformazione delle piattaforme in barriere coralline.

Golfo del Messico. Una piattaforma petrolifera diventata habitat per pesci e specie marine nel Flower Garden National Marine Sanctuary (foto: John Embesi/NOAA)
Golfo del Messico. Una piattaforma petrolifera diventata habitat per pesci e specie marine nel Flower Garden National Marine Sanctuary (foto: John Embesi/NOAA) 

Secondo alcuni non soddisfa l'impegno assunto dalle aziende in materia di smantellamento delle strutture quando hanno sottoscritto i contratti di locazione e sfruttamento. E a farne le spese è l'ecosistema marino. "Se tu potessi drenare tutta l'acqua dal Golfo del Messico ora - afferma Richard Charter uno dei veterani della Ocean Foundation - nessuno potrebbe credere ai propri occhi nel vedere la quantità di spazzatura che giace sul fondo".


In ogni caso, dicono diversi osservatori, sia che il progetto "da piattaforme a barriere coralline" sia un modo costruttivo per convertire i vecchi impianti di perforazione o che sia una strategia delle compagnie petrolifere per evitare soluzioni di smaltimento più difficili, una cosa appare certa. Ovvero che queste barriere artificiali saranno un comunque un ricordo del passato se l'uso del petrolio diminuirà, un simbolo della transizione delle nazioni dall'età del petrolio a qualcosa di più pulito.