Catia Bastioli sa bene che il suolo è questione di chimica. Ristabilire il bilancio della CO2, garantire azoto e potassio, conoscere i processi di sintesi dei microrganismi che pullulano nel suolo e che donano tutti gli elementi nutrienti che arrivano sulle nostre tavole. Una passione, la sua, fin dall'università (laurea in chimica) e poi dentro il gruppo Montedison, dove presto arrivo alla guida di Fertec, società di ricerca voluta da Raul Gardini. Infine con Novamont, che guida da 24 anni, azienda leader nella bioeconomia circolare, dove si guarda alla chimica organica come un mondo da scoprire per nuove innovazioni di materiali (come le bioplastiche) e di processi chimici. Il suo ruolo più recente è proprio quello di membro del Board della Mission Soil Health and Food della Commissione europea, un gruppo di esperti chiamati ad assistere la Commissione nella preparazione di proposte legislative e iniziative politiche inerenti ad una delle risorse più preziose che possediamo.
Perché il tema del suolo è così centrale?
"I fenomeni degradativi - collegati al cambiamento climatico - si stanno evolvendo ad un ritmo estremamente elevato a causa della pressione antropica e della nostra incapacità di capire la complessità e l'interdipendenza dei fenomeni naturali. Il tema del suolo è molto urgente dato che è una risorsa non rinnovabile - per produrne dieci centimetri servono duemila anni, mentre per distruggerlo bastano pochissimi minuti - , estremamente complessa da creare, dato che contiene un'infinità di microrganismi in interazione tra loro, fondamentali per il mantenimento del ciclo dei nutrienti".
I dati sono preoccupanti.
"Negli ultimi dieci anni le aree desertiche sono aumentate di 157 mila chilometri quadrati. Come se metà Italia avesse perso suolo fertile. Inoltre la Mission Soil ha ribadito che il 70-75 % dei suoli europei è inquinato, degradato e soggetto a processi di erosione. Quindi è chiaro che se noi continuiamo a non considerare il suolo come un bene comune "malato" che deve essere curato e rigenerato, continuiamo ad indebolire la nostra capacità di generare materie prime come il cibo, andando a danneggiare uno dei principali settori su cui si basa l'economia e la reputazione italiana, ovvero il food made in Italy".
Rigenerare il suolo quindi è davvero necessario per sostenere tantissime imprese di questo settore?
"La rigenerazione del suolo è sicuramente una questione ambientale, che sta alla base della qualità della vita, ma è anche una questione di competitività economica e di disponibilità di materie prime. Proprio la disponibilità delle materie prime è un problema che sta emergendo con sempre più gravità: l'essere autonomi per quanto riguarda le risorse reperibili dal territorio sarà anche una strategia di sicurezza nazionale. Noi impieghiamo ancora schemi inaccettabili, come mettere il materiale organico in discarica o avere fanghi talmente sporchi da non poter essere riutilizzati come carbonio organico. Mentre il settore della bioeconomia, che in Italia crea il 10% del PIL, è un settore importantissimo, che produce valore aggiunto. Bisogna capire che il cambio di paradigma porterebbe non solo più posti di lavoro, ma favorirebbe anche progetti di territorio inclusivi e innovazione partecipata, coinvolgendo anche le comunità".
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In Italia manca ancora una legge sul suolo, men che meno una strategia nazionale che riguarda questo tema. Secondo lei quali sono gli ostacoli e perché non c'è ancora la volontà politica di rendere questi temi centrali?
"Innanzitutto non c'è una direttiva sul suolo neanche a livello europeo. L'Italia però ha tutti gli interessi per fare da driver nella creazione di leggi per la tutela del suolo: da una parte potrebbe ricavare grandi profitti e valore aggiunto dalla bioeconomia; dall'altra innescherebbe processi di adattamento necessari, in quanto si trova nel Mediterraneo, un'area che oggi è particolarmente delicata perché sta subendo più velocemente di altre aree le ripercussioni sfavorevoli dei cambiamenti climatici".
Che peso avrà la bioeconomia all'interno del PNRR e quali sono le azioni chiave che secondo lei il governo dovrebbe includere in questo piano nazionale?
"Io non so quanto peso i politici daranno, ma posso per certo dire che il tema della bioeconomia è centrale per il futuro. Questo approccio economico racchiude al suo interno la coordinazione di vari ambiti, tra cui quello dei prodotti decarbonizzati, delle energie rinnovabili e della gestione dei rifiuti organici liquidi e solidi. Altro tema fondamentale: la stabilità idrogeologica. Acqua e suolo sono interconnessi tra loro e la loro corretta gestione potrebbe favorire anche la produzione di energie rinnovabili".
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Qual è lo scopo della Mission Soil e cosa punta ad ottenere?
"Individuare le sfide che a livello europeo dobbiamo vincere: la salute del suolo e la qualità del cibo, la qualità e la buona gestione delle acque, una governance intelligente delle città, la salute e il benessere umano. Servirà ad orientare i progetti di ricerca europei (come Horizon), ma anche l'impegno dei cittadini stessi all'interno di un processo di innovazione inclusivo e partecipativo. Inoltre promuovono attività sperimentali che permettono di testare procedure e innovazioni all'interno di un dimostratore che misuri l'evoluzione dei parametri nel tempo: ad esempio attraverso l'introduzione di sensori nel suolo si va a capire come la materia organica lì riportata influisce su una determinata produzione".
Quali sono secondo lei le innovazioni nella bioeconomia che cambieranno le carte in gioco nei prossimi anni?
"Il tema della trasformazione dei rifiuti è uno dei più rivoluzionari: quelli che oggi sono considerati scarti di un territorio in futuro potrebbero diventare risorse, come per esempio la trasformazione in zuccheri delle cellulose di scarto presenti nei fanghi. Poi ci sono le materie prime alternative, materie che possiamo estrarre da terreni marginali: le aree collinari e i declivi, in cui gli agricoltori non riescono a coltivare per problemi inerenti i dissesti idrogeologici, possono essere gestiti seguendo una logica rigenerativa, in cui si progettino filiere integrate con prodotti multipli ad alto valore aggiunto. Infine i siti produttivi, come le bioraffinerie, vanno ripensate: più piccoli, più efficienti e localizzati più vicini alle materie prime, creando prodotti provenienti da una filiera gestita da più attori".
Novamont 2030 come sarà?
"Basata su un approccio sistemico. Stiamo già lavorando moltissimo con Coldiretti per creare delle filiere integrate in cui l'agricoltore tragga maggior valore dal suo lavoro e in cui le tecnologie innovative vengono messe a servizio di un'agricoltura che è anche ricerca sul campo, economia della conoscenza ed economia delle comunità. Noi siamo una B corp: dobbiamo pensare ad un'azienda che possa veramente contribuire a quella rigenerazione territoriale senza la quale non ci saremmo più né noi né le nostre imprese".