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Ciafani (Legambiente): "Discutere sul nucleare è tempo perso"

Ciafani (Legambiente): "Discutere sul nucleare è tempo perso"
Dura presa di posizione del presidente della principale associazione ambientalista in Italia contro le dichiarazioni pro-nucleare (e contro i 'radical-chic') del ministro Cingolani. "Parliamo invece delle cose urgenti da fare, per esempio decuplicare l'energia prodotta da fonti rinnovabili"
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“Quella passata a discutere del possibile ritorno al nucleare è stata una settimana persa”. Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente, è durissimo con chi ha alimentato il dibattito sui reattori di quarta generazione che potrebbero fornire un giorno energia pulita all’Italia. A cominciare dal ministro Roberto Cingolani, che ha innescato, con le sue dichiarazioni giovedì scorso, la reazione a catena. Ciafani non si sente un ambientalista “radical chic”, più probabile che il responsabile dalla Transizione ecologica si riferisse a coloro che osteggiano perfino il fotovoltaico per il suo impatto anti-estetico sul paesaggio.

Stefano Ciafani, presidente di Legambiente (Facebook)
Stefano Ciafani, presidente di Legambiente (Facebook) 

E conferma di aver lavorato molto in questi mesi con il ministro, come lo stesso Cingolani ha ammesso. Ma non arretra di un passo sul no al nucleare: “Siamo per la ricerca, ma parlare dei reattori di quarta generazione come se fossero pronti tra cinque anni è pura fantascienza. E distoglie l’attenzione del governo, delle imprese e dei cittadini dall’emergenza che dobbiamo affrontare non tra qualche anno ma domattina: produrre energia riducendo del 55% le emissioni di CO2”.

Presidente, ci riassuma qual è la posizione della principale associazione ambientalista sul dibattito innescato da Cingolani.

“Come Legambiente pensiamo che nell’ultima settimana si sia perso tempo a discutere di una cosa che oggi non ha alcun senso. Sento parlare di ricerche sui reattori di quarta generazione da 25 anni: ma da allora non si è visto alcun risultato concreto. Di concreto c’è la realizzazione, tra problemi colossali e lievitazione dei costi, di due reattori di terza generazione avanzata in Francia e Finlandia. Se ne parla da dieci anni e chissà quando saranno ultimati. Figuriamoci la quarta generazione, ci vorranno decenni. E invece abbiamo pochissimo tempo a disposizione”.

Per fare cosa?

“Siamo nel 2021 e abbiamo delle scadenze precise nel 2030 e nel 2050. Impegni presi con l’Europa per ridurre drasticamente le emissioni di gas serra. Ci sono 70 miliardi nel Next Generetion Eu da investire su questi temi entro il 2026. E il nostro timore è che il Paese non sia in grado di affrontare. A maggior ragione se si perdono settimane a parlare di un fantascientifico ritorno al nucleare invece che delle cose urgenti da fare”.

E quali sarebbero?

“Per esempio come riuscire a decuplicare l’energia prodotta in Italia da fonti rinnovabili. O come evitare che la aziende preferiscano vincere appalti per il fotovoltaico e l’eolico in Spagna o Grecia, mandando deserte le nostre aste, come è successo per l’ennesima volta pochi giorni fa. O ancora, rendere possibile l’installazione del fotovoltaico sui tetti delle città (fatta eccezione per i centri storici, naturalmente). Infine come adeguare il Pniec (Piano nazionale integrato per l’energia e il clima) ai nuovi obiettivi europei che prevedono un taglio del 55% delle emissioni entro il 2030 e non più del 40%. Ecco, nei giorni scorsi si sarebbe potuto discutere più proficuamente di tutto questo”.

Ministri a parte, c’è anche una parte del mondo imprenditoriale che plaude alla riapertura di credito verso il nucleare.

“Non sanno di cosa parlano. Se Cernobyl ha mandato in coma l’industria dell’atomo, l’incidente di Fukushima le ha dato il colpo di grazia. Lo dicono i numeri. I grandi Paesi nucleari, come Stati Uniti, Francia e Regno Unito, discutono non tanto di nuove centrali, quanto di estendere l’attività di quelle esistenti a 60 o addirittura 100 anni. E questo per ammortizzare gli enormi costi di esercizio, ma anche per spostare il più in là possibile il momento in cui i reattori andranno smantellati e messi in sicurezza. E a questo proposito c’è una specificità italiana che i fan del nucleare sembrano dimenticare”.

Quale?

“Dal 5 giugno scorso è aperto il confronto sulla possibile collocazione del Deposito nazionale che dovrà accogliere le scorie radioattive italiane. Dopo trent’anni non siamo stati ancora capaci di chiudere bene il nucleare di seconda generazione. Sarebbe il caso di farlo, prima di pensare alla quarta generazione”.

Ma allora la soluzione qual è?

“Prendere atto che il mondo è cambiato e che le innovazioni in fatto di energie rinnovabili sono state rapide e clamorose: in Cina stanno costruendo una pala eolica che da sola produrrà 16 megawatt”.

Però in Europa c’è la Francia che preme perché la Ue inserisca il nucleare nella “tassonomia verde”.

“Parigi fa i suoi interessi. Come ha provato a fare l’Italia chiedendo che fosse inserito nella tassonomia il gas naturale. Noi auspichiamo che Bruxelles eserciti con la Francia la stessa forza dimostrata nel dire di no al nostro governo”.