Quante volte ho letto dello smarrimento che provoca la morte di un maestro spirituale? I libri che raccolgono l'eredità di figure oramai storiche ne sono colmi eppure viverlo amplifica il senso di incapacità, di inadeguatezza. C'è tutto quello scoramento, quel disorientarsi che ti lascia svanito, ti guardi intorno come se fosse cambiato qualcosa nell'orientamento stesso del mondo: ti osservi vagare lentamente, gli occhi che si posano sulle cose ma non le afferrano, e fuori dalla finestra il cielo poi è sempre al suo posto?
Il 9 novembre, poche ore fa, si è spento il corpo di un uomo conosciuto come Luigi Mario o col nome buddista di Enkagu Taino. L'Unione Buddhista Italiana ne ha dato notizia: "Luigi Mario Engaku Taino è stato uno dei Maestri fondatori dell'Unione Buddhista italiana, pioniere della pratica zen Rinzai in Italia e fondatore del tempio di Scaramuccia a Orvieto. L'Unione Buddhista Italiana partecipa al dolore della famiglia e lo ricorda per il suo grande impegno rivolto alla diffusione del buddhismo in Italia."
Taino era nato nel 1938 ed è stato, a quando ci è dato di conoscere, il primo italiano a risiedere per anni in un tempio delle scuole zen, in Giappone, per la precisione a Kobe; non il primo italiano buddista, come sappiamo questo riconoscimento va a Salvatore Natale Cioffi o Lokanatha (1897-1966), che ricevette l'ordinazione monastica nel 1925 in Birmania. Taino ha imparato le pratiche di una scuola, la Rinzai, o Linchi come è chiamata in Cina, dal maestro Yamada Mumon (1900-1988), discendente di grandi figure quali Hakuin, Bassui e Dait?, tra il 1967 ed il 1973, quando torna in Italia col desiderio di farvi fiorire il seme degli antichi insegnamenti. Il buddismo era già vivo in Italia, ma nel solco di alcune scuole, soprattutto, l'età dello zen sarebbe arrivata successivamente, anche grazie alle scelte di vita di Taino e all'eco della controcultura americana che continuava a farsi sentire e a incuriosire coloro che cercavano forme di esistenza alternative alle consuete, alla cultura cattolica quanto alla produttività capitalistica; l'irrequietezza degli anni '60 e '70 ha favorito anche queste nuove vie di spiritualità.
Abbiamo già incontrato Taino alcuni mesi orsono, quando parlai del suo viaggio a piedi da Kobe a Tokyo, avvenuto esattamente mezzo secolo prima, quando ancora era residente al tempio Shokofuku.
Sull'isola-foresta del Giappone dove l'importante non è arrivare
Taino era un grande amante della montagna che ha scalato tutta la vita e ovunque sia stato, iniziò ad insegnare arrampicata nel lontano '56, divenne guida alpina tre anni dopo e maestro di sci nel '65, la sua radice era sempre in cerca di nuove rocce con le quali conciliarsi; e infatti ogni anno teneva un ritiro in Trentino dove coniugava zen, meditazione e roccia. Ancora prima di ammalarsi, in queste ultime settimane, scalava la roccia, a oltre ottant'anni.
Taino è stato un bonzo, un maestro che ha insegnato a molti suoi allievi ad amare le vette e le pareti come le amava lui, nondimeno che meditando seduti nello zendo, nei ritiri che guidava così spesso nella sua cascina tra le terre ondulate d'attorno a Orvieto, in quel luogo che oramai è esso stesso sinonimo di zen all'italiana: Scaramuccia: "Evviva l'arte delle parole, la più semplice e la più libera perché alla portata di tutti nello stesso modo. Evviva tutte le donne e gli uomini di queste paginette perché nelle righe dei loro scritti hanno saputo esprimere le emozioni di settimane dense di vita e di emozioni. Evviva questa collina ombelico dell'Umbria perché è dalla magia dei suoi silenzi ch'è sbocciata la meravigliosa varietà di questi fiori", così scriveva Taino nell'ottobre del 2000; una collina "ombelico dell'Umbria", non è una definizione splendida?
"Certi alberi". La poesia di John Ashbery
Rientrato in Italia, Taino non ha dimenticato le sue umili origini, ha scelto di vivere del proprio lavoro manuale, mettendo radici in una vecchia abitazione agricola. Qui ha fatto l'agricoltore, il falegname, ha coltivato le viti e nel mentre ha iniziato a tenere incontri di meditazione, ritrovi, ritiri, a parlare di zen e di maestri, così come è nella tradizione della sua scuola.
Taino ha lasciato dietro di se anche diverse parole scritte, testi di valore, raccolti in più opere, prevalentemente a cura dei suoi numerosi discepoli: penso ad Il libro di Scaramuccia, a L'Illuminazione nella vita quotidiana, a Lo zen e l'arte di scalare le montagne. Ha curato una versione integrale degli insegnamenti del maestro fondatore della sua scuola, il Linchi-lu o detti/insegnamenti di Linchi.
Inoltre, Engaku Taino ha composto, fra il 2005 e il 2011, centosedici nuovi koan, i dialoghi esemplari che si studiano in questa scuola e che servono a far comprendere, o meglio a far vivere, al meglio il valore degli insegnamenti e della pratica: venti compongono Bokkusan roku (o Raccolta della Montagna della luce di Buddha), novantasei Zenshin roku (o Raccolta del tempio del cuore zen); Bukkosan Zenshin-ji è il nome che Yamada Mumon diede al tempio di Scaramuccia, quando venne a visitarlo, mentre roku vuol dire raccolta.
Quando si parla di maestro spesso si storce il naso; io stesso, da selvatico quale sono, ho sempre faticato ad adottare il termine come si usano epiteti tipo Signore, Ingegnere, Dottore o Professore; ho sempre il sospetto di finire per abusarne o peggio, di usarlo con furbizia, con quell'opportunismo che appartiene sì all'essere umano ma di cui vorrei fare a meno. Nonostante tutto questo, la parola maestro mi pare naturalmente adeguata quando ci si rivolgeva a Taino.
Quando ho saputo che il suo tempo era finito ho subito sentito il bisogno di consegnare al bosco alcune sue parole, alcuni suoi pensieri, nati, ne sono certo, dal pieno contatto con la natura. Una volta gli ho chiesto che cosa lo portasse a scrivere, e lui mi disse che lo faceva per capire, per se, non per farsi leggere da altri. Forse inizialmente non gli ho creduto, pensando fosse una sorta di falsa modestia ma oggi invece credo di capirlo meglio.
Ne L'illuminazione nella vita quotidiana egli scrive: "La principale caratteristica della scuola cui noi apparteniamo - la scuola Rinzai - alla quale ci ispiriamo, consiste nella pratica dei koan, ma, indipendentemente da qualunque pratica, la realizzazione è alla portata di chiunque di noi, di qualunque essere umano."
Ad occhi aperti. In cammino con Daniele Zovi
Lo rileggo al mio ruscello che la mattina, spesso, mi dilava cuore e mente, e poi leggo a fior di labbra altri suoi appunti estrapolati dal bollettino del suo tempio, il Notiziario di Scaramuccia. Alla fine della lettura è arrivato quel fastidioso, tedioso, ufff, nodo in gola che ti accompagna o ti prepara alle lacrime. Ho accarezzato l'esistenza di Taino per poco tempo, uno sbuffo di stagione nella sua lunga esistenza, eppure la sua generosità, la sua curiosità - so ad esempio che leggeva i miei articoletti su Il Manifesto, il quotidiano al quale era tenacemente abbonato - è un dono a cui non potrò corrispondere mai adeguata gratitudine. Non potrò far altro che prendere ad esempio la sua umanità e farne tesoro, per quanto mi sarà possibile. Il mio pensiero va ovviamente a tutti i suoi allievi, ai suoi familiari, ai maestri nel Dharma che ha ordinato, ai tanti che lo hanno seguito, ascoltato, amato, ma anche a coloro che ci hanno discusso e litigato, perché no. In Italia ci siamo abituati a compiangere la perdita delle persone molto note, magari appartenenti al mondo della televisione e dello spettacolo, ma Taino è stato un vero pioniere, uno di coloro che come dicono i giapponesi è stato un "so", un fondatore, un patriarca, un primo seme, per questo anche chi non lo ha incontrato e non lo conosceva potrebbe rivolgere un pensiero alla sua scomparsa. Eppure ho l'impressione che Taino non avrebbe piacere di pensarci tristi, dopotutto non siamo altro che piccole foglie e ci adagiamo al vento.
Tiziano Fratus vive in una casa davanti a un bosco. È autore di molti libri e medita.
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