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I robot-semi imitano la natura: finito il lavoro si biodegradano

Barbara Mazzolai
Barbara Mazzolai 
La sfida lanciata dalla scienziata Barbara Mazzolai: costruire automi che abbiano un ciclo vitale e poi si biodegradino come se fossero parte dell'ecosistema
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"I robot ci aiuteranno a salvare il Pianeta. Io ci credo e stiamo lavorando perché accada". Barbara Mazzolai, direttrice associata per la Robotica all'Iit-Istituto italiano di tecnologia, è reduce da Edimburgo dove ha coordinato i lavori della conferenza internazionale RoboSoft2022, un meeting dove si sono ritrovati i massimi esperti mondiali di robot "morbidi" e ispirati alla natura. Utilizzabili un giorno per la gestione delle risorse naturali, o nella riduzione delle emissioni e del consumo energetico, o nella salvaguardia degli ecosistemi e della biodiversità.


"Pur facendo parte della robotica, la nostra è una branca davvero molto interdisciplinare - spiega Mazzolai - perché l'obiettivo di molti dei gruppi che lavorano in questo campo è proprio di osservare la natura e realizzare robot che abbiano caratteristiche simili a quelle degli esseri viventi, a partire dai materiali che non sono più rigidi, come l'allumino, ma materiali siliconici, o che comunque hanno proprietà più simili a quelli naturali, per esempio capaci di deformarsi".


Una ricerca che procede da qualche anno, ma che nell'ultimo periodo ha imboccato decisamente la strada della sostenibilità. "Come coorganizzatrice della conferenza - continua la scienziata dell'Iit - nei mesi scorsi ho suggerito che questo appuntamento scozzese servisse ad analizzare il ruolo della soft robotics nella difesa del Pianeta: cosa possiamo fare per sviluppare una tecnologia che risponda anche alle necessità attuali, dal monitoraggio ambientale, al riscaldamento del Pianeta, allo sviluppo di una tecnologia che sia più integrata negli ecosistemi naturali? Questa era un po' la sfida che avevo lanciato ai colleghi".


Sfida accolta, nonostante le difficoltà. "Anche se negli ultimi anni i progressi tecnologici sono stati enormi, non è comunque semplice creare robot sostenibili - ammette Mazzolai - perché servono materiali particolari, elettronica, energia... A maggior ragione, sono stata sorpresa dal constatare come ci si sia sforzati per sviluppare robot sostenibili per l'ambiente. Durante i lavori di Edimburgo, molti hanno suggerito materiali biodegradabili, e noi stessi dell'Iit ci stiamo lavorando: robot-semi che vengono lanciati nell'ambiente ma che una volta conseguito il loro obiettivo, per esempio il monitoraggio ambientale rispetto a sostanze inquinanti (a cominciare dal mercurio), si biodegradano, come se fossero parte dell'ecosistema naturale. È il concetto di ciclo di vita, che stiamo cercando di inserire nella nostra robotica. Una sfida enorme dal punto di vista tecnologico". Ma questi robot-semi come rivelano l'inquinante prima di dissolversi? "Quando incontrano la molecola in questione - spiega la ricercatrice - questa attiva una fluorescenza nel seme che viene poi captata da appositi droni in volo sull'area".

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La Harvard University ha invece presentato robot soffici a forma di stella marina, privi di qualsiasi struttura scheletrica rigida e in grado di muoversi e strisciare solo grazie all'azione controllata di aria che fluisce all'interno della struttura costituita da elastomeri. Un robot che può essere, quindi, deformato per accedere in spazi angusti. I ricercatori della Cornell University hanno proposto nuovi materiali che combinano caratteristiche elastiche e metalliche, risultato in un composito in grado di autoripararsi dopo che viene rotto. Un materiale che può essere usato come "tendine" soffice nei robot, o come materiale per robot in grado di cambiare forma spostando i diversi pezzi. Mentre la University of Vermont ha condotto simulazioni al computer di strutture di robot soffici che trovandosi in spazi ristretti sono costretti a deformarsi e adattarsi conservando però la capacità di movimento. Le simulazioni sono state applicate a esperimenti eseguiti con robot soffici costituiti da metamateriali, ovvero materiali artificiali che possono essere modulati nelle loro caratteristiche fisiche. Risultato recente sono gli Xenobots, "robot biologici" costituiti da cellule staminali estratte da rane e che vengono assemblate in un processo di microchirurgia, in un aggregato in grado di interagire con l'ambiente circostante.


"È stato molto interessante perché c'erano biologi, esperti di materiali, ingegneri che si confrontavano su tematiche comuni", racconta Barbara Mazzolai. "Ma, aldilà delle singole idee presentate, è stato interessante il dibattito scientifico su cosa può offrire la soft robotics per la salvaguardia della Terra".


"Abbiamo parlato anche di energia", conclude la ricercatrice. "Energia ottenuta per esempio dalle piante, attraverso l'interazione di foglie naturali con foglie artificiali, queste ultime fatte di materiali soffici e che quindi non danneggiano la foglia naturale. Si riescono così a sfruttare le cariche elettrostatiche che si formano tra le due tipologie di foglie per alimentare dei dispositivi elettronici, come luci o sensori. Non ancora un vero robot, ma l'obiettivo è quello. Perché sarebbe il primo a energia davvero green".