"L'emigrazione dal nord, specie dalla Lombardia, è una novità. Da lì si partiva verso le Americhe oltre un secolo fa e oggi si è tornati ad andar via con numeri che solo la Sicilia eguaglia, benché i motivi di fondo siano diversi". Enrico Pugliese, professore emerito di Sociologia del lavoro alla Sapienza di Roma e in passato direttore dell'Istituto di Ricerche sulla Popolazione e le Politiche Sociali del Cnr, lo racconta con voce bassa, scandendo le parole. Originario di Cosenza, classe 1942, ha al suo attivo diversi saggi sul tema, fra i quali l'ultimo: Quelli che se ne vanno, la nuova emigrazione italiana. "Il punto è che in Italia si emigra come non accadeva da tanto tempo", prosegue. "C'è una trasversalità che abbraccia le classi benestanti e quelle che lo sono meno, tutte colpite dalla continua diminuzione degli stipendi e dalla precarizzazione del lavoro. Nelle aree lontane dalle metropoli, prive di servizi essenziali, il fenomeno è ancora più forte. E le conseguenze saranno profonde, aggiungendosi all'impatto economico causato dal cambiamento climatico".
"A Milano tutti i servizi nel raggio di un chilometro e mezzo"
LA MAPPA Negli ultimi decenni si sono spopolate le aree interne, hinterland in crescita
Variazione percentuale della popolazione residente tra 1951 e 2019
(fonte: Openpolis)
Stagnazione e declino delle retribuzioni, spopolamento, crisi ambientale, sono alcuni dei tasselli dello scenario che si sta configurando. Va aggiunta la denatalità, il sorpasso dei pensionati sugli occupati in alcune regioni del Sud, la perdita di produttività delle aziende così poco inclini ad innovare, il crollo dei patrimoni di quella metà della popolazione che ha meno, passati da una media di 25mila euro circa degli anni Novanta agli attuali 5mila. Tutto questo ci rende una nazione fragile, specie se si presta fede alle previsioni fatte fra gli altri dal Centro comune di ricerca (Jrc) della Commissione europea: le conseguenze economiche dell'innalzamento delle temperature sull'area mediterranea saranno cinque volte superiori rispetto a quanto dovrà subire l'Europa del Centro-nord.
Non siamo i soli
Difficile fronteggiare una tale emergenza con un Paese che si svuota, perde ricchezza e nel frattempo si desertifica. L'unica consolazione, per modo di dire, è che la precarietà non ha investito solo l'Italia. Altrove però, come in Germania, si viene pagati di più e comunque raramente in nero. Anche lo spopolamento è un fenomeno con il quale stanno facendo i conti in tanti.
In Giappone ad esempio, davanti alla prospettiva di un declino certo del numero di cittadini, dai 125 milioni attuali a 88 nel 2065, quasi un terzo in meno, il governo ha pensato di correre ai ripari. Lo ha fatto con una mossa che non risolverà il problema del calo demografico, ma che comunque prova a invertire una delle tendenze dell'era industriale, ovvero la sempre maggiore concentrazione di persone nelle città. Le metropoli globalmente occupano circa il 2% della superficie terrestre, ma ospitano metà del gene umano e producono due terzi dell'inquinamento atmosferico. E mentre si continua a migrare verso le città, il resto viene abbandonato come sta succedendo in Giappone e in Italia.
LA POPOLAZIONE Com’è cambiata la popolazione in Italia dal 1951, comune per comune
Variazione percentuale della popolazione residente tra 1951 e 2019
(fonte: openpolis)
Più della metà dell'Italia è lontana da tutto
"Vengono definite aree interne tutte quelle zone dove è complicato raggiungere servizi essenziali come sanità, scuola e trasporti", racconta Filippo Tantillo, romano di 54 anni, ricercatore presso l'Istituto Nazionale per l'Analisi delle Politiche Pubbliche (Inapp) e autore assieme a Sabrina Lucatelli e Daniela Luisi del saggio L'Italia lontana: Una politica per le aree interne.
"Si dividono in periferiche ultra periferiche e sono quelle che perdono più popolazione rispetto alla media nazionale che è comunque in declino in Italia. Spopolamento e assenza di servizi sono legati a doppio filo. Parliamo di borghi come di ex distretti industriali, paesi nelle valli come in montagna, zone costiere sia al sud che al nord. Non sempre sono aree povere: la marginalità viene dalla lontananza dei servizi più che dalla tipologia geografica del territorio o dal livello del reddito della popolazione".
In Francia li chiamano "territori dimenticati", dallo Stato e dal mercato, in Spagna è la "Spagna vuota", per gli inglesi "i territori lasciati indietro". Sono comprese aree che svolgono o svolgevano un ruolo importante nella produzione agricola e industriale. Per quanto riguarda l'Italia, è il sessanta per cento del territorio: cinquemila comuni dove vivono fra i dodici e i quindici milioni di abitanti. Sono all'estremo opposto rispetto alle grandi città sempre più affollate, care e inquinate. Ma è una contrapposizione, la frattura fra centri e campagna, che si verifica anche in contesti come la provincia di Trento. I villaggi montani si svuotano e si riempie il fondo valle dove perfino gli asili nido sono sovraffollati. Aprire piccoli uffici postali, scuole e pronto soccorso, garantire collegamenti efficienti, portare la banda larga, ha un costo dove la densità abitativa è bassa. Fino a ieri si sarebbe potuto sostenere che non ne valeva la pena, oggi però il prezzo di non farlo potrebbe essere anche più alto. E i fondi in teoria li avremmo, come vedremo più avanti.
Perché è anche una questione ambientale
Stando alle proiezioni del Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici (Cmcc), la crisi climatica porterà cambiamenti profondi nell'agricoltura, nel turismo e probabilmente anche nel settore immobiliare, producendo come effetto un ulteriore svuotamento di alcune delle zone già colpite dal fenomeno dell'emigrazione. Rispettivamente da noi questi tre settori valgono il 12%, 13% e 15% del prodotto interno lordo. Ne abbiamo già parlato in passato, ma riassumiamo alcune cifre.
Dal turismo viene il 13% del nostro prodotto interno lordo. Quello balneare genera la maggior parte delle presenze, con il 31%. Seguono le città d'arte, con il 25% delle presenze, e il turismo montano con il 13%. Con l'aumento delle temperature si prevede uno spostamento verso maggiori latitudini e altitudini, mentre i turisti provenienti dai climi più temperati trascorreranno sempre più tempo nei loro Paesi d'origine. "È probabile, inoltre, il verificarsi di un mutamento anche a livello stagionale, con la crescita dell'afflusso di turisti verso le coste nei mesi in cui la temperatura dell'aria e dell'acqua non saranno troppo calde, quindi dai mesi caldi estivi verso i mesi primaverili e autunnali", recita uno dei rapporti del Cmcc. Sempre più turisti stranieri sceglieranno destinazioni meno afose delle nostre, mentre sempre più turisti italiani resteranno in Italia invece di fare le vacanze in luoghi ancora più caldi. Ma il saldo sarà negativo, anche perché parte degli italiani contribuirà al flusso verso Paesi storicamente freddi. Il fenomeno non sarà uniforme, è però molto probabile che le più colpite saranno le aree costiere.
Per il turismo invernale, la vulnerabilità ai cambiamenti climatici si esprime nella Linea di Affidabilità della Neve (Lab), quell'altitudine che garantisce spessore e durata sufficienti dell'innevamento stagionale e quindi la praticabilità degli impianti sciistici. Con un aumento medio di oltre un grado centigrado, l'attuale situazione, la presenza di neve naturale è garantita per il 75 per cento dei comprensori alpini. A quattro gradi invece, lo scenario più pessimista da qui al 2050, le stazioni sciistiche si ridurrebbero a solo il 18% di quelle attualmente operative.
Non la banda larga o trasporti, ma turismo e borghi
A settembre del 2022 fece il giro del mondo la notizia dell'arrivo di poco meno di venti milioni di euro a Livemmo, in provincia di Brescia, borgo con centosettanta abitanti. Non è il solo. È entrato a far parte del gioco della gestione dei fondi del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), declinazione italiana di quel nuovo corso molto ambizioso, che ha fra i suoi riferimenti il New Deal immaginato da Franklin Delano Roosevelt per tirar fuori gli Stati Uniti dalla Grande depressione. Voluto dall'Unione Europea nel 2020 per fronteggiare la pandemia, intende sfruttare un'emergenza per trasformarla in una grande opportunità. Gli investimenti e le riforme del Next Generation Eu, 750 miliardi di euro, dovrebbero servire per accelerare la transizione ecologica e digitale, migliorare la formazione delle lavoratrici e dei lavoratori, conseguire una maggiore equità di genere, territoriale e generazionale. A patto che le opere siano ultimate entro il 2026.
L'Italia ha deciso di "modernizzare la pubblica amministrazione, rafforzare il sistema produttivo e intensificare gli sforzi nel contrasto alla povertà, all'esclusione sociale e alle disuguaglianze". Fra le soluzioni adottate c'è anche il Piano nazionale borghi nato nel 2021: un miliardo di euro che verrà speso anche per ripopolare e rilanciarne circa duecentocinquanta. Livemmo è uno dei 21 luoghi pilota o bandiera che dir si voglia, individuati da regioni e province autonome, per la prima linea di finanziamenti: 420 milioni di euro complessivi, 20 ognuno. Altri 380 milioni saranno invece divisi fra altri 228 borghi con un tetto di 1,6 milioni ciascuno. In nessun caso possono superare i 5mila abitanti. Stranamente perché uno degli obiettivi è arrestare l'emigrazione, come si legge a più riprese nel Piano, anche le cittadine con 10mila abitanti sono interessate e anzi sono quelle che rendono possibile il vivere nei borghi che sorgono nelle vicinanze. Un ultimo stanziamento di 200 milioni verrà destinato in seguito alle "imprese che svolgeranno attività culturali, turistiche, commerciali, agroalimentari e artigianali nei Comuni facenti parte della seconda linea di azione". Gli interventi più frequenti sono la riqualificazione degli spazi comuni, la ristrutturazione di edifici, le piste ciclabili, il creare piccoli musei, ampliare la capacità ricettiva. Sulla carta si parla non solo di recupero del patrimonio storico artistico di questi luoghi ma dell'individuazione di una vocazione specifica.
Per Rocca Calascio, in Abruzzo, si cita il portare servizi elementari totalmente mancanti, una carenza indicata come fra le cause dello spopolamento, che è poi il fenomeno che si vuole combattere. Rocca Calascio è un antico castello a 1400 metri di altitudine raggiungibile in macchina da l'Aquila in 45 minuti. Sicuramente merita di essere restaurato, ma farne un luogo dove andare ad abitare è un obiettivo forse irrealistico.
Monticchio Bagni, con i suoi 250 abitanti circa, è un altro dei 21 borghi da 20 milioni di euro. In provincia di Potenza, con l'Abbazia di San Michele Arcangelo, un castello, la riserva naturale del Lago Piccolo di Monticchio, ha due produzioni di acqua minerale. Si vorrebbe attrarre residenti a "medio termine" con la creazione di spazi di coworking, laboratori e incubatori di start-up in collaborazione con l'Università della Basilicata, guardando ai fenomeni del "nomadismo digitale" e del "south-smart working". Il riferimento è al movimento nato durante la pandemia del South Working, creato da alcuni ricercatori italiani sparsi per l'Europa che volevano porre le basi per poter continuare a lavorare a distanza tornando per periodi più o meno lunghi nelle loro terre di origine dove i costi sono più bassi e in alcuni casi la qualità della vita più alta, a patto di avere alcuni servizi essenziali come un buon collegamento alla Rete e la vicinanza ad un aeroporto o una stazione ferroviaria ben servita. La storia di questo progetto la trovate qui sotto. Ebbe come prima ipotesi quella di collaborare con il comune di Palermo per ottenere le infrastrutture necessarie affinché si potesse ospitare il primo progetto pilota. Monticchio Bagni dista un'ora circa di macchina da Avellino, Foggia o Potenza e stando a Google Maps non ci sono mezzi pubblici che lo raggiungono. Si sbaglia. Da Potenza c'è un bus e c'è anche da Melfi. Ma certo, non è esattamente un luogo facile da raggiungere.
Proviamo a contattare il sindaco di Arvier in Valle d'Aosta, Mauro Lucianaz, altro borgo da prima linea di investimenti. Da quel che sappiamo espresse perplessità per questi fondi, non avendo nei suoi uffici personale e competenze per gestirli. Non ha mai risposto al telefono né alle mail.
Quando, nel 2013, eravamo all'avanguardia
E pensare che in Italia avevamo capito già nel 2013 che la partita doveva essere giocata in una maniera diversa. L'allora ministro per la Coesione territoriale Fabrizio Barca, creò la Strategia nazionale per le aree interne (Snai). L'idea era di potenziare la dotazione di servizi essenziali in modo da contrastare lo spopolamento e assicurare dignità e vivibilità agli italiani delle aree interne. Era già la "città da 15 minuti" applicata alle periferie del Paese per rafforzarlo nel suo complesso e "non lasciare indietro nessuno", come avrebbero poi detto a Bruxelles più di recente presentando il Next Generation Eu. Lo Snai, che era all'avanguardia e al quale lavorò lo stesso Filippo Tantillo, non è andato molto lontano anche se è almeno riuscito a realizzare una mappa delle aree interne. Per assenza di fondi e di volontà politica, dalle zone poco abitate arrivano evidentemente pochi voti, sono stati lanciati solo alcuni progetti pilota. E, come ha ammesso lo stesso Barca, molti si sono arenati per l'assenza di personale e di competenze nelle amministrazioni locali. Grossomodo la stessa cosa che sta accadendo ora con tanti progetti legati al Pnrr, purtroppo al di là dei borghi. Uno studio recente di Bankitalia, sostiene che per portarli a termine mancano all'appello poco meno di 400mila persone fra operai, informatici, consulenti legali, esperti in ricerca e sviluppo, tecnici.
Tornando allo Snai, si scelse fra le altre cose di sostenere la diffusione della banda larga, che ancora oggi manca a milioni di persone, e alcuni servizi di telemedicina e medicina di prossimità, ovvero la possibilità di essere visitati periodicamente a distanza da specialisti e da personale medico che invece incontrava i cittadini presso le loro abitazioni per controlli di prevenzione o per interventi di primo soccorso. Si volevano anche istituire dei presidi ospedalieri per gestire i casi meno gravi che potessero servire diversi villaggi. Per i trasporti pubblici si tentò di renderli integrati, coordinare orari di autobus e treni, più una serie di collegamenti attivabili a richiesta coinvolgendo più cittadini che dovevano recarsi in un centro abitato più grande. È una delle soluzioni immaginate anni dopo in Israele proprio per collegare le zone più remote.
Alla EcoMotion di Tel Aviv, comunità israeliana formata da oltre seicento giovani aziende impegnate sul fronte della mobilità, avevamo infatti chiesto come si poteva immaginare un futuro anche per le zone al di fuori delle metropoli in fatto di nuova mobilità. L'allora presidente, Eviatar Tron, rispose che secondo lui le forme molto avanzate di movimento di merci e persone sarebbero restate appannaggio dei centri urbani. Altrove si poteva forse immaginare un modello su richiesta: mezzi per raccogliere i singoli passeggeri aggregando la domanda in base al tragitto così da avere la garanzia che i veicoli viaggino pieni.
Il progetto è rimasto sulla carta qui come a Tel Aviv. Non hanno aiutato i tanti tagli orizzontali dei costi da parte dello Stato, perché a pagarli sono state soprattutto le aree interne, anche in termini di personale e competenze. Prendete le scuole. Accorparne due in una metropoli può voler dire per uno studente dover passare alcuni minuti in più in autobus o in macchina. In altre zone può invece significare costringerli a raggiungere un istituto che è a quaranta minuti o un'ora in più di distanza. Nel frattempo però nel centro e nord Europa hanno preso ad adottare misure simili a quelle progettate dallo Snai, ma su larga scala con una perseveranza sensibilmente maggiore della nostra.
Quel che resta della strategia del 2013
Nel Piano nazionale borghi qualcosa dello Snai sopravvive, così come nel Pnrr, dal quale il piano ha origine e che è diviso a sua volta in sei missioni principali. I borghi fanno capo alla prima missione, intitolata Digitalizzazione, innovazione, competitività, cultura e turismo. Nella cosiddetta componente 3, Turismo e cultura 4.0, per la quale sono previsti 6,6 miliardi di euro, si fa riferimento ai borghi. Il richiamo ad una strategia per il ripopolamento è parte anche di un altro filone del Pnrr, la quinta missione nel capitolo intitolato "Strategia nazionale per le aree interne" da 800 milioni di euro. Si legge che le "aree interne costituiscono circa tre quinti dell'intero territorio nazionale, distribuite da Nord a Sud, e presentano caratteristiche simili: grandi ricchezze naturali, paesaggistiche e culturali; distanza dai grandi agglomerati urbani e dai centri di servizi; potenzialità di sviluppo centrate sulla combinazione di innovazione e tradizione".
Avendo la necessità di costruire infrastrutture e portare servizi lì dove non ci sono, si menzionano sia i collegamenti con i centri urbani sia la sanità e si parla di consolidamento delle farmacie rurali convenzionate dei centri con meno di 3mila abitanti per renderle strutture in grado di erogare servizi sanitari territoriali. Qui però si interviene con un finanziamento del 50%, il resto lo dovranno mettere i privati a patto che abbiano interesse a farlo in zone che sono evidentemente poco abitate e che lo sono sempre di più.
Viene in mente che le due cose, i fondi per i Borghi e quelli della Strategia nazionale per le aree interne, si sarebbero potute combinare in un quadro più organico, tenendo conto della portata del fenomeno dell'emigrazione e di quel che tutta l'Italia, ma soprattutto il sud, dovrà affrontare. Con l'aggiunta di un altro possibile altro tassello, la pubblica amministrazione, che se riorganizzata potrebbe in teoria aiutare a colmare l'assenza di personale nelle sedi più piccole.
Una pubblica amministrazione diffusa
"Nel Pnrr si parla di digitalizzazione della pubblica amministrazione. E questo significa che molte pratiche dell'intero territorio nazionale potrebbero e in parte già oggi possono essere gestite ovunque, anche da uffici sparsi nelle aree interne". Marco Carlomagno, napoletano di 64 anni, segretario generale della Federazione Lavoratori Pubblici e Funzioni Pubbliche (Flp), su questo argomento torna spesso. Quando gli parliamo dello spopolamento dell'Italia e dei rischi impliciti che questo comporta, non mostra sorpresa.
Dallo smart working all'addio al lavoro, cosa sta cambiando per noi e per le nostre città
Per altro gli uffici pubblici sono tanti e su tutto il territorio. Un centro di servizi dell'agenzia delle entrate a Pescara lavora le pratiche per tutto il Paese. E allora, dicono alla Flp, perché non decentrare trasferendo alcune funzioni in città più piccole. Si creerebbe un tessuto socioeconomico migliore.
"Ci sono oggi strutture centralizzate che non hanno molto senso come il Provveditorato alle opere pubbliche di Lombardia e Emilia Romagna che è a Milano", prosegue Carlomagno. "A Napoli si gestisce Campania, Puglia, Basilicata e Molise con tutto quello che ne consegue in fatto di spostamenti per andare poi nei luoghi dove bisogna essere". Insomma, una pubblica amministrazione redistribuita mettendo in comune le risorse in modo che in certo ufficio in una certa area si possa lavorare per un'altra istituzione che magari ha una sede centrale altrove.
Stiamo però andando in un'altra direzione. In piena pandemia a lavorare da remoto in Italia erano circa sei milioni e mezzo di lavoratori mentre adesso, stando sempre all'Inapp, a farlo sono in meno di tre milioni. Il Politecnico di Milano, poco tempo fa, aveva parlato di 3 milioni e mezzo. Si torna indietro, a ritmi serrati. Nella pubblica amministrazione sarebbero circa 560mila a praticare il lavoro in remoto, ma in realtà è in corso una dismissione perché molti fanno un solo giorno a settimana. Non c'è nulla dello smart working vero e proprio. Del resto, l'ex ministro Brunetta aveva imposto una prevalenza in presenza, senza badare ai compiti che si devono svolgere.
Entro vent'anni anche il sud dell'Europa avrà il suo deserto
Il miraggio di un'alternativa alla concertazione nelle grandi metropoli
L'architetto Rem Koolhaas a febbraio del 2020, aprendo la mostra Countryside, the future, ha sostenuto che quel 98% di territorio non occupato dalle città sia il vero nuovo centro. Vedeva in quella parte di campagna ormai connessa alle infrastrutture, che vive però all'ombra, un territorio nevralgico e vitale. Un modo per mettere in discussione l'inevitabilità dell'urbanizzazione totale.
Non ha tenuto conto dell'emigrazione forse, e purtroppo è un fenomeno progressivo. "Lo spopolamento crea spopolamento", conclude Enrico Pugliese. "Se chiude una bottega in un villaggio e apre un supermercato a trenta chilometri di distanza, chi non guida andrà via e per farlo tornare o far arrivare qualcun altro serve uno sforzo notevole".
L'Italia è un Paese di centri medio piccoli. Su 7mila comuni solo 100 hanno più di 60mila abitanti. Roma e Milano sono le uniche che superano il milione, seguite da Napoli, Torino e Palermo. Alcuni di questi paesi o cittadine sono ricche, come certi comuni nel milanese fra i primi dieci per il livello di reddito pro-capite, ma la maggior parte non lo sono e non potranno mai esserlo se sono tagliate fuori da tutto.