In evidenza
Sezioni
Magazine
Annunci
Quotidiani GNN
Comuni

Il vino del futuro è green: gli 11 assaggi da non perdere

Il vino del futuro è green: gli 11 assaggi da non perdere
La nuova edizione della guida Slow Wine: 2000 cantine recensite, di cui il 56% del totale pratica agricoltura biologica o biodionamica
6 minuti di lettura

«Coerenza, innovazione, apertura». Sono queste le tre parole chiave per leggere e capire l’edizione 2023 della guida Slow Wine. Presentata l’8 ottobre a Milano, negli eventi della Milano Wine Week (dal 9 al 16 ottobre), la pubblicazione - in libreria a partire dal 12 ottobre - raccoglie 1.957 cantine visitate e recensite da una squadra di 200 collaboratori diretta dal curatore Giancarlo Gariglio: «Un impegno immane che ci ha richiesto circa 6mila ore di lavoro complessivo». Il risultato è una mappatura di aziende, storie, territori e, ovviamente, vini racchiusa in 1.120 pagine. Una guida «molto scritta e per questo in controtendenza con la moda attuale», che però lascia spazio all’innovazione grazie all’introduzione di un QR Code in 800 schede di valutazione che permette di accedere a un video di 5-8 minuti in cui si racconta l’anno che è stato in vigna e in cantina: «Sebbene possano apparire come dei contenuti un po’ amatoriali o artigianali, questi video rappresentano una testimonianza del lavoro sul territorio e permettono di inserire le singole vicende produttive in un contesto più ampio e all’interno dei fenomeni contemporanei», ha aggiunto Gariglio.

Fra questi trend, c’è quello del vino da agricoltura biologica e biodinamica: il 56% del totale delle cantine recensite pratica questo tipo di attività. Una percentuale che sale al 63% se si considerano solo i vini premiati. Dati che fanno emergere un filo conduttore comune, «quello della rigenerazione – ha affermato Federico Varazi, vicepresidente di Slow Food Italia – L’agricoltura praticata dai vignaioli è sempre più attenta al territorio e consapevole del ruolo dei produttori all’interno di un ecosistema più ampio: dal rispetto del suolo alla gestione delle conseguenze del cambiamento climatico, passando per la diffusione dell’enoturismo arrivato ormai a un giro d’affari di 2,5 miliardi di euro e un’incidenza del 27% sul fatturato delle aziende». In totale, sono 227 le Chiocciole presenti in guida (10 le new entry) che premiano le cantine che più rispettano il manifesto di Slow Wine “buono, pulito e giusto”. Oltre a queste, si aggiungono le 194 cantine premiate con il simbolo della Bottiglia per l’eccellente qualità organolettica del prodotto. Infine, sono 74 le etichette che possono fregiarsi del premio Moneta per il loro ottimo rapporto qualità-prezzo (a cui vanno aggiunte le 156 menzioni della sezione Vino Quotidiano, ossia i top wine che costano fino a 12 euro in enoteca).

Numeri che, sempre nella giornata dell’8 ottobre, hanno lasciato spazio agli assaggi. All’interno degli spazi di Superstudio Events, zona Tortona, è andato in scena una degustazione che ha coinvolto oltre 550 produttori: 350 in presenza e 200 disponibile nell’enoteca gestita dai sommelier Fisar (Federazione italiana sommelier albergatori e ristoratori). Un’occasione per scoprire, bicchiere in mano, alcune delle chicche presenti all’interno della guida. 

Ecco i nostri 11 assaggi

1. Fra queste, anche due delle cantine che hanno ricevuto il premio speciale dalla guida: Nusserhoff, che con Gloria Mayr ha conquistato il riconoscimento “Giovane Vignaiolo” e Possa, che si è aggiudicata il premio per la “Viticoltura Sostenibile” grazie all’attività del proprietario Heydi Bonanini. Da queste realtà arrivano due etichette da non perdere. La prima si chiama proprio Gloria: 100% Lagrein, annata 2012, non diraspato, affinamento di 2-3 anni in botte grande di rovere francese e altri 3 in bottiglia. Una produzione di mille bottiglie realizzata dalla cantina bolzanina solo nelle annate migliori, quando il grappolo è bello maturo. E si sente anche al palato, con un tannino rigoroso ma mai aggressivo che lascia una piacevole freschezza in bocca grazie alle note di oliva e macchia mediterranea.

2. La seconda, invece, è Cinque Terre 2021: 6.500 bottiglie prodotte da una viticoltura che, fin dal 2004, inizio dell’attività della cantina con sede a Riomaggiore (SP), si è contraddistinta per il recupero di terrazzamenti a strapiombo sul mare (servono 60 parcelle differenti per arrivare agli attuali 6 ettari vitati) e 19 varietà autoctone presenti anticamente nell’area. Non a caso, il Cinque Terre 2021 è frutto di un blend formato all’80% da uva di bosco e il 20% da vitigni recuperati. Cinque giorni di macerazione, fermentazione spontanea e maturazione con fecce fini prima dell’imbottigliamento. Il risultato è un bianco mediterraneo, minerale, molto territoriale con una nota agrumata e speziata tipica degli uvaggi locali.

3. Girando fra i banchi di assaggio, ecco il valdostano Chambave Muscat Flétri 2020 di La Vrille: 950 bottiglie di passito prodotte da Hervé Deguillame a Verrayes, sottozona della Doc regionale, dove si riallacciano le fila con uno dei vitigni storici del territorio (presente in Valle d’Aosta fin dal 1300) grazie alla lavorazione di uve Moscato Bianco Petit Grains (che hanno sostituito la varietà autoctona di cui si è persa la traccia). Vendemmia a mano, riposo nelle cassette per circa due mesi di tempo e perdita di acqua del 48-50%. Processo che garantisce al vino una presenza di 200 grammi di zuccheri al litro che dona un sapore che ricorda il miele; senza per questo risultare stucchevole.

4. Spostandoci verso est, in Piemonte, Mauro e Alessandro Veglio, zio e nipote, hanno unito le forze per un progetto comune al sapore di Barolo, uno classico e cinque cru. Fra questi, Barolo Arborina 2018: frutto della raccolta da due ettari di terreno (dove ha sede l’azienda), circa 6mila bottiglie, passa attraverso una macerazione di 20-25 giorni sulle bucce a seconda del tipo di annata e un invecchiamento in barrique. Eleganza e freschezza, tipica della zona di La Morra, con esposizione est-sud est che sta beneficiando tantissimo delle annate calde, si uniscono a un sentore floreale al naso e un sorso sottile e incisivo.

5. Dall’altra parte dell’arco alpino, in Friuli-Venezia Giulia, ecco il Kaplja 2018 di Damijan Podversic. Testimonianza del Collio goriziano realizzato con un blend di Chardonnay, Malvasia e Tocai Friulano, macerazione lunga di due tre mesi sulle bucce, tre anni di affinamento in botte grande e uno di bottiglia. Gusto fruttato e finale sapido che deriva dalla coltivazione su marne arenarie stratificate.

6. Dalle produzioni del Nord Italia, lungo lo Stivale, si fa tappa a Predappio da Chiara Condello, giovane produttrice che nel 2015, dopo gli studi in economia e commercio, ha avviato il proprio progetto enologico ritagliandosi uno spazio all’interno dell’azienda di famiglia Borgo Condé. In totale, poco meno di 5 ettari vitati a Sangiovese. Ne è un esempio il Romagna Sangiovese Predappio Le Lucciole Riserva 2019: uve della varietà autoctona del Sangiovese Piccolo piantato su terreni dove la roccia madre di spungone (roccia arenaria calcarea tipica delle colline romagnole) affiora in superficie. Caratteristica morfologica che dona una forte complessità ai grappoli, con acidità e tannino ben strutturati che permettono macerazioni e affinamenti più lunghi (due anni in botte grande e uno di bottiglia). All’assaggio emerge il lato fruttato unito a una grande eleganza con tannini succosi e fini che hanno però bisogno di ancora un po’ di tempo per esprimere a pieno le proprie potenzialità.

7. Poco più a Sud, in Abruzzo, la cantina Torre dei Beati è protagonista del ritorno in auge del Trebbiano con il suo Bianchi Grilli 2020: nell’ettaro di proprietà nel terroir di Loreto Aprutino (PE) nasce un vino di testimonianza che si raccoglie a media maturazione, mosto a contatto con le bucce per una settimana a freddo per estrarne tutti i precursori aromatici, fermentazione in acciaio e botti di acacia prima di passare in bottiglia dove resta per circa un anno e mezzo. Produzione in controtendenza con la tradizionale lavorazione del Trebbiamo senza per questo tradire la freschezza e la mineralità del vitigno a cui si sommano profumi inediti.

8. Dalla Toscana, zona Chianti classico, arrivano le produzioni di Podere Erica. L’azienda è nata nel 2010 dall’investimento della famiglia americana Dempsey su circa due ettari di terreno a Barberino Tavernelle (FI) successivamente affidati al vignaiolo Marco Giordano che qui porta avanti un’agricoltura biodinamica. L’etichetta da non perdere è La Ghiandaia 2020: Sangiovese e Canaiolo, circa 3.500 bottiglie, uve selezionate in vigna, fermentazione spontanea, diraspato, vinificazione in vasche di cemento non vetrificato. La maturazione dura dai 20 ai 30 giorni. Il profilo olfattivo ricorda la violetta e una nota affumicata, in bocca vibrante ed energetico grazie a una piacevole acidità che invita alla bevuta nonostante i 14,5 gradi alcolici.

9. Nelle Marche, invece, sulle colline intorno ad Ascoli Piceno la cantina Pantaleone è sinonimo di agricoltura biologica tramandata di generazione in generazione. Dal fondatore Nazzareno alle figlie Federica e Francesca che, a 450 metri sul livello del mare, coltivano vigne autoctone che crescono sul tufo tipico della regione. Ne è un esempio il Falerio Pecorino Onirocep 2021: colore paglierino, acidità e salinità marcate ma anche un gusto agrumato che arriva con un buon carico di mineralità.

10. Per quanto riguarda la produzione vinicola dal sud e dalle isole, sono tre le etichette da citare. La prima è Aglianico del Vulture Serra del Prete 2019 di Musto Carmelitano. La cantina lucana di Maschito (PZ) si avvale della collaborazione con l’enologo Fortunato Sebastiano che porta avanti una coltura biologia rigorosa sui circa 6,5 ettari di proprietà. Il risultato è un vino che profuma di incenso, spezie e ciliegie con un gusto fresco, quasi balsamico.

11. Vini potenti ed eleganti allo stesso tempo dalle isole. In Sicilia, più precisamente a Menfi (AG), Cantine Barbera dà spazio al Grillo con il suo Coste al Vento 2021. Frutto dell’incrocio fra Zibibbo e Catarratto, porta con sé la parte aromatica del primo e la struttura acidica del secondo. Sebbene sia una produzione relativamente giovane rispetto agli altri vitigni autoctoni dell’isola, rappresenta a tutti gli effetti il biglietto da visita della moderna viticoltura regionale. Nello specifico, Coste al Vento (circa 3.800 bottiglie) è un orange wine macerato per 3-4 giorni sulle sue bucce in acciaio e poi, dopo alcuni passaggi, vinificato in anfora con note aromatiche che spaziano dallo zenzero candito ai fiori gialli e che rilascia un gusto fresco e un finale speziato. Ultima menzione per Karamare 2021: Cannonau bianco prodotto dalla cantina di Lorenzo Pusole. Un unicum in tutta la Sardegna di cui vengono prodotte circa 3.600 bottiglie. La sua lavorazione è uguale al vitigno a bacca rossa, con passaggio in barrique e tonneau per permettere quella micro-ossigenazione che permette al vino di durare nel tempo. Alle note di macchia mediterranea si aggiungono quelle di salsedine (karamare in sardo significa proprio “verso il mare”, che dista solo 1.500 metri di distanza in linea d’aria dal territorio di coltivazione) e di nespola. In bocca, un tannino gentile lascia spazio a un ventaglio di sfumature fruttate più ampie.