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India regina dello street food: chai, frittelle e tutte le specialità da provare

Cibo di strada a Coimbatore: samosa, poori, kaya baji e pakkavada (Foto @prajith vasudevan)
Cibo di strada a Coimbatore: samosa, poori, kaya baji e pakkavada (Foto @prajith vasudevan) 
Una tazza di the che lascia traccia nel cuore, una paratha, ricco pane farcito con patate e verdure, o i dosa, a base di farina di riso: lungo il Gange i sapori sono unici. E a casa porti qualche ricetta, ma soprattutto il gusto 
della lentezza
3 minuti di lettura

Il cibo di strada è unione, conoscenza, condivisione. È famiglia, è una fotografia dell’India dove puoi imparare un piatto osservandone tutti i passaggi. Il cibo di strada è lentezza ed è velocità allo stesso tempo: puoi passare ore a chiacchierare con qualcuno, puoi mangiarti una cosa al volo in un momento di pausa o tra un acquisto e l’altro. Il cibo di strada arriva dritto al naso, raccoglie gli odori più intensi della cucina indiana. Nei miei numerosi viaggi in India ho sperimentato lo street food del Nord, del Sud, dell’Est e dell’Ovest.
Ogni regione ha ovviamente le sue caratteristiche, ma vorrei soffermarmi sul mio ultimo viaggio. Sono atterrata a Delhi, città intensa negli odori e nella sua ricca e frenetica attività. Spesso dà il benvenuto ai turisti e viene usata come città di passaggio prima di muoversi verso il Rajastan o il Punjab o verso Varanasi per esempio, come ho fatto io. Pahar Ganji è un quartiere di Delhi che amo particolarmente perchè si trova vicino alla stazione ed è brulicante di vita. C’è una via principale dove il traffico di Delhi trova il suo massimo sfogo e dove confluiscono tante viuzze laterali. Si può mangiare fino a notte tarda. 


Il chai è il re sovrano dello street food: non si può vivere appieno l’India senza gustarne una buona tazza: è una bevanda riscaldante ed energizzante a base di the nero, zenzero fresco tritato, cardamomo, cannella, macis (fiore della noce moscata), pippali (pepe lungo), latte di mucca e zucchero (tanto zucchero!). Si vedono spesso grandi pentoloni in cui viene mescolata questa preziosa bevanda e poi versata in bicchierini di vetro o - spostandosi in altre parti dell’India - in ciotole di terracotta. Il sapore è unico e irripetibile; la leggerezza viene conferita dalle spezie e dal cuocere il latte con lo stesso quantitativo di acqua per renderlo più digeribile. Provarlo lascerà una traccia indelebile nel cuore di chi lo beve e ne accrescerà la voglia di sperimentarne diversi durante la giornata. Il chai si accompagna spesso a uno snack, quasi sempre fritto. All’odore si unisce il suono del friccicore dell’olio dove vengono riposte piccole o grandi frittelle: pakora, bhaji, vada e tantissimi altri tipi. Sono quasi tutti fatti con la pastella di farina di urud dhal (una lenticchia che tiene bene l’impasto e rende la frittella molto croccante e gustosa). Difficile trovare la carne o il pesce all’interno. La maggior parte degli snack sono vegetariani, anzi direi proprio vegani. Ovviamente anche in questo genere di cucina c’è una logica perché in India tutto va gustato al completo, non possono mancare tutti i sapori: il dolce, il salato, l’acido, il piccante, l’amaro e l’astringente. Quando qualcuno di questi manca, arriva una bella salsa di accompagnamento fatta colare sopra lo snack o messa a parte in una ciotolina. Il mondo dei chutney è infinito: tamarindo, mango, limone, cocco, pomodoro… solo per citarne alcuni. Tornati a casa si vorranno riproporre tutti i piatti, ma i più facili da riproporre saranno proprio le salse. 


Dopo alcuni giorni a Delhi sono partita per Varanasi. È  una città dell’Uttar Pradesh che nella sua storia porta con sè tanti nomi: Kashi la luminosa; Anandavana la foresta della beatitudine; Avimukta, la mai abbandonata. È il luogo in cui si incontrano la morte e la vita in un profondo legame con l’acqua sacra del fiume Gange. La sua vita si svolge soprattutto sui ghat, lunghe gradinate che scendono nel fiume. Durante la stagione dei monsoni vengono ricoperti dall’acqua e la vita passa negli stretti vicoli brulicanti di venditori, santi, lunghe code per entrare ai templi e piccoli chioschi nei quali troviamo di tutto da mangiare. La mia attenzione a Varanasi è ricaduta soprattutto sul pane: paratha. Come sempre in India, ne esistono tante variabili: il più semplice (senza alcun ripieno all’interno), con le patate, con le verdure, con la cipolla, con il cavolo. Vederlo preparare è uno spettacolo: immaginiamo grandi piastre nere dove viene steso l’impasto fatto di farina, acqua e olio lavorato da mani veloci che lo trasformano in una grande pizza; viene poi tagliato in due parti e ogni impasto arrotolato su se stesso, come se fosse un mega bocciolo di rosa. Vengono poi messi da parte e lasciati riposare. I boccioli di rosa vengono quindi distesi col matterello molto velocemente e posizionati in una piastra calda, cotti da un lato all’altro, ben oleati. Vengono poi impilati e serviti in un pezzetto di carta di giornale. Deliziosi e semplici. 

 


Il mio viaggio si è concluso in Kerala e Tamil Nadu dove lo stile cambia notevolmente e si passa soprattutto ai dosa dove il glutine scompare. I dosa sono frittelle fatte con la farina di riso e l’urud dhal (lenticchia decorticata). Fanno parte della colazione, del pranzo e della cena, ma anche di una bella merenda. Sono giganti e prendono diverse forme: coni, arrotolati, stile piadina. Il re dei dosa è il masala dosa con un ripieno di patate, cipolle, peperoncino verde, piselli e pezzi di pomodoro. Il tutto accompagnato dal magico sambar: un curry di verdure molto liquido dal sapore acido al punto giusto, dato dal succo di tamarindo spremuto e fatto cuocere all’interno. L’altro accompagnamento classico è il chutney di cocco e di pomodoro. Il segreto di un buon dosa che ha un sapore semplice, ma intenso sta nella fermentazione: deve essere non eccessiva (altrimenti l’impasto diventa acido) e non troppo corta altrimenti diventa difficile da digerire. È uno di quei cibi semplici e sani che si possono riproporre tornati casa. Spesso ci si fa scoraggiare dalla fermentazione di quasi due giorni. Anche lo street food in India ci insegna ad avere tempo, a dedicare spazio al momento della preparazione dei cibi, al combinare in giusta misura tutti i sapori nelle loro giuste quantità. Lo street food è un’arte ma in India può essere anche molto scenografica e spettacolare e chi se ne occupa sarà contento di spiegare, farsi fotografare e far scoprire i segreti della loro meravigliosa cucina.