Quante cucine italiane esistono? Sicuramente più di una. Cambia tantissimo a seconda del punto di vista, dell’arbitro, del consumatore. Se il punto di vista è internazionale allora è la cucina del Sud quella che sa raccontare meglio il Made in Italy, quella con la maggiore capacità di diventare iconica. Quella che arriva, a volte purtroppo anche travisata, al consumatore.
Se il punto di vista è nazionale invece non viene restituita al Sud la stessa forza, la stessa valenza culturale. Un problema che spesso purtroppo riguarda tutta la percezione che l’Italia ha della sua cucina.

Se l’arbitro è la guida più famosa del mondo, la Michelin, il gap culturale è ancora più evidente. Lo dimostra il fatto che non ci sono ristoranti tre stelle al Sud. E non è credibile che sotto Roma, Castel di Sangro o Senigallia, Isole comprese, non ci sia nessuno in grado di interpretare la cucina ai massimi livelli. E non è questione di identità o di radici perché alla Michelin, come ai 50 best, la cucina mediterranea piace lo dimostrano i grandi consensi per un interprete di una cucina che al Mediterraneo guarda con forza come Mauro Colagreco oppure il fresco tre stelle Antonino Cannavacciuolo che il massimo riconoscimento alla sua cucina e anche il suo posizionamento lo ha ottenuto molto a Nord, nella splendida Orta San Giulio con un lago che a volte hai i colori del mare ma che si trova nel cuore del Piemonte.
Il Sud ha grandi tenori della cucina italiana - pensate a Esposito, Iaccarino, Cuttaia, Sultano solo per citarne alcuni, e anche il numero di ristoranti stellati lo testimonia ogni anno, manca ancora un riconoscimento di eccellenza assoluta. Un segnale forte. Capace di dare una spinta verso l’alto a tutto il movimento. Anche perché il rapporto con contadini, artigiani e di conseguenza con la terra che si sviluppa nel Meridione d’Italia garantirebbe un effetto trascinamento di un intero comparto. Un beneficio globale, un affrancamento anche da certe resistenze che hanno le radici nella criminalità.

Sia chiaro il Sud non ha bisogno di Michelin per crescere, la Guida Rossa è soltanto un strumento semplice per spiegare come ci sia una parte d’Italia che rappresenta la vera essenza della cucina del nostro Paese ma a volte rischia di uscire dai radar. Di non avere la valorizzazione che merita, di essere un eterno outsider.
Farsi carico di questi territori, dare ancora più voce a quella cucina è una grande missione che può far evolvere ancora di più la gastronomia italiana nella sua totalità. Il sovranismo alimentare ha molte ramificazioni ma una ricaduta importante e forse decisiva in questa fase storica del turismo italiano alla continua ricerca di una destagionalizzazione gastronomica, sarebbe quella di dare maggiore forza all’orgoglio della cucina meridionale, restituendole quel valore culturale che le appartiene. Al Sud, rispetto al Nord, c’è sicuramente un tema di fragilità imprenditoriale ma anche di clientela che a volte è più pronta a spendere 1000 euro da Salt Bae che 200 in uno stellato del Sud finendo per considerare “semplice” quella cucina figlia di ingredienti unici e soltanto da “non rovinare”. Un errore madornale che svaluta un contesto e al quale si può rimediare solo recuperandone la valenza culturale anche a costo di scontrarsi con una dittatura settentrionale che a volte sfocia in sorridente arroganza finanziaria.

Gennaro Esposito che dalla “Torre del Saracino” a Vico Equense è uno dei fari della cucina a trazione mediterranea, rappresenta un osservatorio privilegiato sul gusto del Sud perché non sono ne è un artefice in cucina, ma cerca di essere un motore di eventi come la sua “Festa a Vico”.
“I mali della cucina del Sud – spiega Gennaro Esposito – si identificano con alcuni mali della cucina italiana. Ad esempio quella sensazione che sia una cucina facile solo perché potente e immediata. Ha patito lo stesso corto circuito che patiscono le trattorie come luoghi di cucina semplice che esalta l’ingrediente. Ma un grande pomodoro, un grande fegato o una grande mozzarella se sono buoni costano e il piatto deve avere il giusto valore. Pretendere di pagarlo meno perché sei in una trattoria vuol dire svalutare la semplicità, impoverirla, mentre è la forza della cucina italiana”.
“La stessa operazione di orgoglio che va fatta nei confronti della cucina del Sud – spiega ancora Gennaro Esposito – va fatta con gli artigiani che ne sono elemento chiave. Valorizzarli è un punto di partenza, noi chef dobbiamo ricominciare a parlare di artigiani a dar loro il giusto valore. Senza gli artigiani e i contadini noi cuochi non siamo nulla. Dobbiamo dare valore a chi produce le materie prime e ci permette di fare grandi piatti”.
Il Sud con i suoi produttori, le sue cuoche e i suoi cuochi deve essere centrale in un progetto di rilancio della cultura gastronomica italiana. La biodiversità del Sud, la sua incredibile gamma di prodotti ha oggi tutte le potenzialità per tracciare una strada come quella percorsa dalla Scandinavia o dalla Spagna e che le ha trasformate in luoghi di riferimento del turismo enogastronomico planetario. L’italia deve solo crederci che è come dire deve solo credere in ste stessa. E darsi fiducia.