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Pesce, cotture semplici e mashed potatoes: re Carlo a tavola raccontato dallo chef dell'ambasciata

Dario Pizzetti da quasi vent'anni guida la cucina della sede dimplomatica della Gran Bretagna a Roma. Ecco i suoi ricordi (video di Tecla Biancolatte)
 
5 minuti di lettura

Un angolo di Regno Unito tra i fornici dell’acquedotto neroniano e la basilica di san Giovanni, villa Wolkonsky, dal nome della principessa Zenaide Wolkonsky che ampliò la precedente villa con uno stile eclettico. Fino al ’22 di proprietà della Germania, con la sconfitta in guerra torna nelle mani italiane prima di essere acquistata nel 1951 dal Regno Unito, diventando residenza dell’ambasciatore britannico in Italia.  È qui che soggiornano sovrani e membri della famiglia reale britannica a Roma. Per questo, in vista della salita al trono di Re Carlo III, e della consorte Regina Camilla, abbiamo incontrato il resident chef Dario Pizzetti, che ne cura la cucina sia nella gestione ordinaria che nelle occasioni straordinarie come le visite della famiglia reale. Lo chef, non senza una punta di fierezza, racconta come sia stato proprio l’attuale Re a suggerire “che le arance amare dei nostri alberi (della residenza, ndr) vengano trasformate in marmellate da regalare agli ospiti, mentre con i limoni facciamo il limoncello”.

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Lavora ormai da quasi venti anni in questa cucina, dal febbraio 2004, cosa è cambiato?
“Si sono avvicendati quattro ambasciatori, Edward Llewellyn è il quinto. C’è stato un grande lavoro di rappresentanza che è aumentato nel tempo. Ospitiamo molti eventi in residenza, la vita di relazione è cambiata e ogni ambasciatore porta la sua impronta”.

 

Oltre a questi avvicendamenti, c’è anche un nuovo re.
“Lo abbiamo ospitato più volte in residenza, in qualità di Principe di Galles. In questi miei anni è venuto quattro volte, due da solo e due con la moglie Camilla. Purtroppo per me, mai la regina Elisabetta, mi è dispiaciuto. Doveva venire nel 2013 ma per un malessere venne solo in giornata per incontrare il presidente Napolitano”.

 

È noto che Carlo III abbia un ottimo rapporto con i piatti italiani, sappiamo che è legato in modo viscerale alla cucina in quanto prodotto di natura.
“Sì, difatti produce nella sua tenuta di Highgrove, con un suo marchio Waitrose Duchy Originals, prodotti di origine biologica. È molto attento sia alle ricette che al gusto, anche alle origini degli ingredienti. Ama la cucina italiana, tant’è che quando viene qui non manca di pranzare in residenza. Purtroppo l’ultima volta non l'ha potuto fare, dipende sempre dagli impegni. Durante quella visita era programmato un pranzo con il Presidente della Repubblica”.

Come si decide cosa preparare e servire a un re?
“C’è un lungo lavoro prima, dietro le quinte oltre che ai fornelli. In vista di una visita della Casa Reale c’è una preparazione di alcuni mesi per quel che riguarda il protocollo e la visita stessa. Quando re Carlo deve pranzare qui, ho contatti diretti con Clarence House (dove Carlo risiedeva nel suo ruolo di principe, ndr) e ora da re con Buckingham Palace. Con la salita al trono è tutto cambiato, ci dobbiamo abituare. Comunque all'epoca parlai con il suo maggiordomo inviando le mie proposte di menu, pronto alla risposta e alle esigenze”.

 

Riceve anche un elenco di alimenti tabù? O suggerimenti sulle preferenze?
“Certo, i dislike sono resi sempre noti. Il re non mangia aglio e cipolla, nemmeno i formaggi di capra. Preferisce il pesce alla carne e le cotture semplici, come griglia e vapore. Durante l’ultima visita, per il pranzo preparai una pasta fresca: ravioli con spuma di pecorino e fave. Al centro volle un uovo pochè, il maggiordomo chiese se fosse possibile aggiungerlo. Con il secondo avevo previsto spinaci all’inglese e patate bollite, però all’ultimo abbiamo saputo che avrebbe preferito le mashed potatoes. Deve essere tutto possibile: qualsiasi cosa, pronti per tutto!”.

 

Quindi l’imprevisto è più la regola che non l'eccezione...
“È meglio che non lo sia. È una questione professionale, lavorando in una casa dove il mio cliente principale è sempre lo stesso, l’ambasciatore. Negli hotel, anche i più lussuosi, un 'non si può fare' può capitare, qui si fa in modo che non accada. Dire ‘non è possibile’ non è nello stile della casa, ma neanche nel mio modo di svolgere la professione”.

 

Se è tutto concordato con anticipo, quali possono essere gli imprevisti dell’ultimo momento?
“Il menu non è mai definito, anche nelle visite reali. Inviate le proposte, il maggiordomo risponde con le scelte reali. Ma c’è sempre un filo diretto. In appartamento, durante l’ultima visita insieme, i reali hanno mangiato separati, a un quarto d’ora di distanza, nulla di strano, solo impegni sfalsati nella programmazione. Camilla a ogni pasto vuole mezzo avocado, mentre al mattino mangia la papaia. Ma sulla colazione non sappiamo di più, la porta il valletto in camera preparandola personalmente. Nonostante siamo colleghi, c’è riserbo su cosa avviene in stanza”.

 

Se la colazione viene preparata dal valletto lascia intendere che i reali viaggiano con una riserva di alimenti al seguito?
“Sì, nell’ultima occasione avevano al seguito bottiglie di vino e le cruditè dai loro orti in Scozia. Magari venivano da lì e le hanno portate per fare un aperitivo, avevano anche uno snack tipo patatine, sempre bio, non junk food! In accompagnamento servimmo un Lugana Brolettino di Ca’ de Frati, il re apprezzò molto, come il tartufo di Alba che ricevette in omaggio”.

 

Ci si aspetta una piccola grande rivoluzione da questo regno. La passione di lunga data del re per l’agricoltura e i prodotti biologici portano a pensare che possa esserci un approccio diverso anche nella cucina. Cosa pensa che cambierà?
"La monarchia, essendo un’istituzione che dura da secoli, ha bisogno di stare al passo con i tempi per durare. Lui, da quel che sembra, è ancora più frugale della regina Elisabetta. L’impronta è quella di essere sempre e ancora di più vicino al popolo. Deve perlomeno non far rimpiangere Elisabetta”.

 

In una di queste circostanze le è capitato di parlare con l’allora principe di Galles, e oggi re Carlo III?
“Ci fa sempre chiamare, chiede a tutti il nome e da quanti anni lavoriamo qui, se ha mangiato fa apprezzamenti e lascia sempre un omaggio. L’ultima volta è stata una scatola di cioccolatini dalla sua produzione, la volta precedente un portafogli con il simbolo del principato. Ai reali bisogna fare un leggero inginocchiamento e dare la mano solo se la offrono loro, Carlo la dà sempre. La penultima volta che è stato qui, nel salutarmi mi diede anche una pacca sulla spalla. È una persona di grande cortesia, speriamo che torni presto”.

 

Provi a immaginare la prima visita reale qui a Villa Wolkonsky, cosa proporrebbe dalla cucina?
“Avverrà perché il legame con l’Italia è forte, anche con Firenze che la Corona aiutò dopo l’alluvione del ’66. Il fatto che il Principe in questi miei quasi venti anni di servizio sia venuto quattro volte lascia presagire che ci sarà una visita molto presto. E lo speriamo! Sarà una visita reale e non principesca”.

 

E dalla cucina che cosa proporrebbe?
“L’ultima volta preparammo ravioli e pesce, si potrebbe optare per una carne e un risotto, per la mia origine mantovana e perché i britannici non sono grandi amanti della pasta. Ma bisognerà vedere cosa e come cambierà nel protocollo. Quello che è stato è stato, ora cambia tutto”.

 

Quanti siete in cucina per gestire pranzi ufficiali, banchetti e ricevimenti?
“Due, io e il mio souschef, Alessio. La brigata si rinforza al bisogno, in caso di eventi con un piccolo catering interno, ma facciamo tutto noi”.

 

E per il servizio?
“In una situazione di pranzo ufficiale, ma normale, c’è un cameriere ogni cinque ospiti, in caso reale uno ogni tre. Normalmente il servizio è alla francese, al vassoio. Per i pranzi piccoli anche al piatto, soprattutto a mezzogiorno così è più veloce, meno formale e lascia più tempo per le interazioni. È previsto anche servizio misto fra vassoio e piatti, solo il dolce è sempre servito al piatto”.

 

Mi ha parlato di prodotti italiani: nella sua cucina da una parte fa conoscere l’Italia ai britannici e dall’altra ha il compito di trasportare valori e sapori dei piatti britannici agli italiani in visita. Nel post Brexit è cambiato l’approvvigionamento?
“Non me ne vogliano i sudditi, ma la Brexit ha frenato l’importazione diretta. Avevamo ditte che ci mandavano direttamente dal Regno Unito salmone, cappesante, haddock (eglefino, pesce di acqua salata, ndr), affumicati di pesce, agnello del Galles e altri ingredienti tipici, anche le birre. Bisognerà regolamentare perché il fermo dogana è all’ordine del giorno. È materia prima deperibile, non ce lo possiamo permettere. Gli stessi fornitori hanno aperto filiali di logistica in Germania, per esempio. La nostra cucina non ha canali privilegiati, paga i dazi come tutti ed è soggetta a fermo doganale. Piano piano si rimetterà tutto a posto, l’ufficio agricoltura dell’ambasciata ha il compito di promuovere anche cibo e bevande, si sta già adoperando in tal senso”.