La flotta italiana di pescherecci, nel 1992, era di 20.486 unità; trent’anni dopo, è quasi dimezzata (12mila). Questo numero non basta però a far comprendere quello che sta accadendo in mare: perché se è vero che la piccola pesca nel Mediterraneo vale ancora l’83% delle flotte totali, con circa 127mila addetti, entra in gioco il GT (gross tonnage, ossia la stazza lorda), e qui la Spagna, per esempio, la fa da padrona. Così, i suoi poco meno di 9.000 pescherecci valgono più del doppio di quelli italiani. È il grande che mangia il piccolo. Modelli di pesca d’altura che si contrappongono al modello diffuso di piccola pesca costiera. Se per la pesca industriale Sicilia (a Mazara del Vallo) e Veneto (Chioggia) vantano le flotte principali, la Liguria è in terza posizione sia per numero di pescherecci (poco più di 400) sia per GT totale. Caratteristiche liguri sono le imbarcazioni di piccola o media dimensione, con una prevalenza a Genova rispetto alle altre province attive nel settore: Imperia, Savona e La Spezia.

Le conseguenze della diminuzione delle flotte sono evidenti: in Italia si produce meno, ma il consumo è costante, le esportazioni valgono molto poco e si limitano all’area dell’Unione Europea. Si importa tanto, sia dall’area extra Ue (con trend leggermente in calo) sia soprattutto da Paesi dell’Ue con quantitativi importanti e in costante aumento. Mentre, a livello globale, l’Asia è di gran lunga il continente che più produce (75% mondiale) sia in termini di catture che di acquacoltura (il 70% della produzione asiatica).
Ecco perché l’appuntamento con Slow Fish, a Genova dall’1 al 4 giugno, può diventare l’occasione per un racconto ma anche per denunciare, con la consapevolezza che la piccola pesca sta soffrendo. Chiamata ad affrontare numerose sfide – dal ricambio generazionale (la metà degli imbarcati ha 40-45 anni, i più giovani sono solo il 4% del totale) alla riduzione dei margini di guadagno per arrivare alla crisi climatica – la piccola pesca è una cultura che rischia di scomparire nel giro di alcune generazioni.
«Noi di Slow Food siamo convinti che senza i pescatori le nostre coste avranno perso anima e bellezza», dicono gli organizzatori dell’undicesima edizione di Slow Fish. «Per noi sarà centrale l’evento intitolato Parola ai pescatori – dice il vice presidente della Regione Liguria con delega alla Pesca e al Marketing Territoriale, Alessandro Piana – visto che la nostra amministrazione basa la programmazione proprio sulle esigenze bottom-up, con riferimento costante a chi quotidianamente si impegna a portare sulle nostre tavole un pescato di prima qualità».

E numerose saranno le testimonianze, e gli appuntamenti per discutere e affrontare il tema della pesca, per tutelare i lavoratori, il mare, e i consumatori: tra questi, l’1 giugno, le storie dei pescatori del Presidio della pesca artigianale del Golfo di Noli, una cooperativa fondata all’inizio del Novecento e la loro pesca con vari sistemi, tramaglio, reti a imbrocco e incastellate, palamiti, nasse e sciabiche, reti antichissime di origine araba, e ancora lenze, palamiti e palangari, e quelle portate dalla cooperativa dei mitilicoltori spezzini, che amano definirsi gli “agricoltori del mare”. Una novantina di soci che, nel Golfo della Spezia allevano muscoli e ostriche, continuando una tradizione più che centenaria e abbinando ai metodi antichi strumenti contemporanei di monitoraggio ambientale.