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Vinitaly 2023. L'uomo, il vino e il paesaggio che evolve

La bellezza del paesaggio di San Quirico d'Orcia (@GettyImages)
La bellezza del paesaggio di San Quirico d'Orcia (@GettyImages) 
Emanuele Fontana riflette sull'interazione fra il viticoltore e la terra: "Il vigneto è un esempio concreto dell’azione umana in un territorio. Sistemi e localizzazioni generano adattamenti conseguenti del terreno che sono la piattaforma del nostro abitare"
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Ogni territorio rurale deve essere governato con principi efficaci ai fini della tutela delle risorse naturali e del capitale sociale che vi incide. A maggior ragione nel nostro tempo, dove l’evidente cambiamento climatico in atto implica atti e scelte a favore della sostenibilità della nostra presenza. Tutti sanno che è in gioco la presenza dell’uomo sul pianeta: non possiamo vivere in un ambiente ostile, quindi sta a noi tutti operare in modo per cui questa ostilità venga perlomeno mitigata. 
Dal lato dell’innovazione e quindi della gestione dell’ambiente l’agricoltura ha da sempre giocato un ruolo scatenante e di successivo sostegno di pratiche, prodotti, modi di operare evoluti in altri contesti. In ambito biologico le innovazioni genetiche hanno anticipato temi di sostenibilità. In ambito tecnologico hanno permesso il progresso ingegneristico già prima della industrializzazione.
La combinazione delle azioni di attori protagonisti della produzione, qualsiasi tipo di produzione, converge nella trasformazione della realtà non solo del prodotto o servizio ma dell’ambiente circostante.
Voglio pertanto proporre una lettura complessiva, organica circa i lavoratori della terra. Applicando il concetto di universalità dei comportamenti collettivi si determina facilmente un contesto di pratiche, individuali e locali, a fronte delle quali si generano risultati comuni. Ogni input nel terreno, ogni lavorazione, ogni prelevamento di acqua, riorganizzazione dello spazio vicinale, tutto è svolto al livello individuale, a fronte di competenze e capacità generate da istruzione, tradizione e riproduzione del lavoro specifico. Il paesaggio conseguentemente è modellato dalla somma di questi comportamenti. Non esiste un paesaggio naturale, laddove l’uomo ha messo piede. Ogni volta che si attiva un comportamento individuale, si attiva un complesso sistema di autoregolazione che evolve in un risultato complessivo, non più somma delle parti ma significativo in sé. 

Emanuele Fontana
Emanuele Fontana 

Il vigneto è notoriamente un esempio concreto rispetto alla trasformazione del paesaggio. Sottende ad un processo di autoregolazione impostato in funzione dell’andamento climatologico, nel nostro tempo più che mai. Con dati agronomici rispetto agli ultimi 150 anni, presenti nell’archivio di Fattoria dei Barbi a Montalcino (Si), si può constatare come le vigne di Sangiovese atte a produrre il vino DOCG Brunello di Montalcino, siano state impiantate in differenti periodi storici in posizione diversa rispetto alla altitudine delle colline ospitanti ed alla tecnica di impianto (rettochino o giropoggio). 
Sistemi diversi e localizzazioni alternative hanno generato un adattamento del paesaggio conseguente. Il sistema si è quindi autoregolato rispetto a quanto proposto con le lavorazioni e gli impianti.
L’autoorganizzazione nei contesti sociali ed economico è parallela a quella del contesto paesaggistico. Nella lavorazione vitivinicole sono determinanti sia le pratiche di conduzione del terreno, comprese le scelte sulla migliore mitigazione del surriscaldamento globale, sia i saperi e le conoscenze relative ai alla storia dei luoghi, alla funzione del prodotto nel tempo e infine alla sua narrazione. 
Il paesaggio a sua volta è preordinato nella sua realizzazione da comportamenti collettivi perché concentrato su lavorazioni del terreno, adattabili a contesti diversi, con una metrica di azione fondata su lavorazioni individuali, localizzate e quindi riproducenti un più ampio ambiente.


Ci sono temi di complessità rispetto agli ambiti appena richiamati. Animali, uomini, macchinari e utensili interagiscono con livelli crescenti di complessità, vale tuttavia una universalità che astrae dal piccolo il grande risultato. Formando, nel caso del paesaggio, un ambiente consolidato con un significato non più solo estetico.
A conferma della valenza interpretativa deve essere rilevato che non esiste per questa universalità dei comportamenti alcun coordinamento centralizzato. 
La politica di territorio pone scelte e configurazioni pur non alimentando direttamente il divenire del paesaggio. Funge da giacimento di spunti, di inneschi eventuali ma è lontana dall’incidere sull’autoregolazione del sistema. Che viceversa acquisisce forma in modo autonomo.
Si tratta appunto di lavorazioni, di comportamenti individuali, localizzati, scelte colturali e tecniche, attuabili con opportune tecnologie, che determinano l’evoluzione del sistema. Ripetono in piccolo quello che poi in grande viene a dimostrarsi nell’osservazione. 


Il richiamo alla complessità e irriducibilità dell’universalità dei comportamenti collettivi non interessa qui in fase analitica ma in fase costruttiva dell’ambiente. Non è necessario andare ad indagare il modello e rendere comprensibile la sua evoluzione. È essenziale invece procedere con la consapevolezza che tutto quello che viene fatto sul terreno, con mezzi e tecnologie dedicate, diventa la piattaforma produttiva del nostro abitare il mondo, godendo di un bicchiere di vino prodotto dalla sapiente evoluzione dei contesti locali dove trovano senso storia, paesaggio, ambiente, cultura.