L’Iran compie un altro passo verso la rottura del patto sul programma nucleare e l’Europa questa volta denuncia la «violazione». Teheran punta a strappare agli europei un impegno maggiore contro le sanzioni imposte da Donald Trump, ma l’escalation lanciata dal discorso del presidente Hassan Rohani lo scorso 8 maggio ha finora ottenuto l’effetto contrario e così si allontana la possibilità di tenere in vita l’intesa del 2015. Dopo il superamento della prima soglia, la quantità di uranio arricchito accumulata, una settimana fa Rohani aveva avvertito che la Repubblica islamica si sarebbe spinta ancora più in là, in assenza «di risposte concrete». Ieri Behrouz Kamalvandi, portavoce dell’Agenzia atomica iraniana, ha confermato che Teheran ha cominciato ad arricchire il combustibile «oltre il limite del 3,67 per cento» stabilito da trattato del 2015.
«Siamo pienamente preparati ad arricchire l’uranio a ogni livello», ha aggiunto. Prima dell’intesa multilaterale l’Iran era arrivato al 20 per cento. Per costruire bombe atomiche serve uranio arricchito al 90. Ali Akbar Velayati, il più influente consigliere della Guida Suprema Ali Khamenei, ha parlato di un «livello del 5 per cento per fornire combustibile al reattore nucleare di Bushehr» e ha ribadito che il programma nucleare iraniano ha scopi civili, per produrre elettricità. Ma ogni aumento allarma la comunità internazionale. Francia, Germania e Gran Bretagna, i tre firmatari europei dell’intesa, hanno espresso «preoccupazione». Il presidente francese Emmanuel Macron ha definito la decisione di Teheran una «violazione». Il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha parlato di passo «estremamente pericoloso» e chiesto all’Ue di imporre sanzioni.
I limiti fissati nel 2015 erano stati pensati proprio per rallentare un eventuale passaggio dall’uso civile a quello militare. Per gli Stati Uniti di Donald Trump però non erano sufficienti e il presidente americano si è ritirato dall’intesa nel maggio del 2018. Un anno dopo Rohani ha risposto con una serie di ritiri parziali, da alcune clausole, e dato tempo all’Europa fino al 7 luglio, cioè ieri, perché trovasse il modo di aggirare le sanzioni americane.
Lo strumento europeo
Una settimana fa Francia e Germania hanno reso operativo il sistema di transazioni finanziare internazionale Instex, sganciato dal dollaro, che ora permette scambi commerciali fra l’Unione europea e la Repubblica islamica al riparo da ritorsioni statunitensi. Ma il sistema è limitato a un paniere di beni di prima necessità, cibo e medicine, e non include il petrolio.
A Teheran non basta. Il viceministro degli Esteri Abbas Araqchi ha accusato l’Europa di non aver «mantenuto i suoi impegni». Rohani chiede agli europei di fare come Cina, Turchia, e in parte l’India, che hanno sfidato il divieto americano. Sabato notte Rohani ha avuto un lungo colloquio al telefono con Macron. I due hanno però concordato di riprendere negoziati «a partire dal prossimo 14 luglio». Da parte francese si punta a limitate modifiche dell’accordo del 2015, che comporterebbero un allungamento dei tempi necessari per fabbricare la bomba, nel caso Teheran volesse farlo, da tre mesi a un anno. Parigi spera che una miglioramento del genere possa spingere gli americani a rientrare nell’intesa. Ma anche Rohani dovrebbe convincere i falchi, e la Guida Suprema, a rivedere quanto stabilito nel 2015. Un’ipotesi finora scartata categoricamente dallo stesso Khamenei.