Zogno: ecco perché me ne vado dal Poma
In cento alla cena dei saluti del cardiochirurgo. «Costretto a lasciare, Stucchi non mi ascolta»
Roberto Bo
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MANTOVA. «Prima del dolce vi do l'amaro». Dal tavolo-Cenacolo, stretto tra il suo staff medico al gran completo, il dottor Mario Zogno, ancora per qualche giorno primario della Cardiochirurgia del Poma, inforca gli occhiali, impugna il microfono e per un attimo s'incupisce. Difficile vederlo scuro in volto, ma alla cena dei saluti - martedì sera al ristorante "Il Tesoro" di Rivalta sul Mincio - può succedere anche questo.
Un centinaio gli invitati dal primario, che a fine mese e dopo 11 anni lascerà il Poma per una clinica privata bresciana. Una cena a metà tra i ringraziamenti a tutti coloro che hanno contribuito alla nascita e alla crescita del reparto e la volontà di vuotare il sacco sui motivi dell'improvvisa fuga.
Il cardiochirurgo sorprende tutti e non sbatte la porta. Anzi, lascia aperto un inatteso spiraglio: «Mi sembra di essere alla mia ultima cena - esordisce - nel Duemila mi chiamò Pischedda, undici anni dopo lascio perché non esistono più le condizioni per rimanere. Comunque sappiate che se cambia il direttore dell'azienda Poma e quello nuovo mi richiama io sono disposto a tornare».
Dai tavoli si leva un applauso prolungato. Salvo dall'ultimo, dove sono seduti due rappresentanti della direzione strategica, il direttore sanitario Piervincenzo Storti e il direttore amministrativo Anna Gerola, i più stretti collaboratori di Stucchi, che ascoltano in silenzio. A tre mesi dall'annuncio shock della partenza in direzione della clinica San Rocco del gruppo ospedaliero San Donato, Zogno è pronto per il chiarimento, rivolto soprattutto alla popolazione e a quanti lo hanno sostenuto in questi anni.
Prima i ringraziamenti: «Un grazie doveroso alla mia squadra di medici e infermieri, poi alla Rianimazione e al Centro di riabilitazione multifunzionale di Bozzolo. In undici anni abbiamo raggiunto ottimi risultati e i mantovani possono essere orgogliosi della loro cardiochirurgia. E allora perché te ne vai? Direte. Volevo uscire di scena in silenzio, ma qualcuno sta mettendo in giro la voce che vado via per soldi. Non è vero, me ne vado perché non sono riuscito ad avere un reparto completo, come avrei voluto. Manca la volontà politica, perché qualche politico non ha mai voluto questo reparto. Non sono riuscito ad avere gli anestesisti dedicati che avrei voluto. Noi ne abbiamo quattro, Lecco ne ha nove e Brescia che fa il nostro lavoro ne ha quindici. Il direttore generale poi in tre anni non ha mai parlato con il primario dei problemi del reparto. Gli ho anche scritto una lettera ma non mi ha mai risposto. In queste condizioni, mi sono detto, forse è meglio che uno vada via. Non resto a lavorare contro i mulini a vento».
Un centinaio gli invitati dal primario, che a fine mese e dopo 11 anni lascerà il Poma per una clinica privata bresciana. Una cena a metà tra i ringraziamenti a tutti coloro che hanno contribuito alla nascita e alla crescita del reparto e la volontà di vuotare il sacco sui motivi dell'improvvisa fuga.
Il cardiochirurgo sorprende tutti e non sbatte la porta. Anzi, lascia aperto un inatteso spiraglio: «Mi sembra di essere alla mia ultima cena - esordisce - nel Duemila mi chiamò Pischedda, undici anni dopo lascio perché non esistono più le condizioni per rimanere. Comunque sappiate che se cambia il direttore dell'azienda Poma e quello nuovo mi richiama io sono disposto a tornare».
Dai tavoli si leva un applauso prolungato. Salvo dall'ultimo, dove sono seduti due rappresentanti della direzione strategica, il direttore sanitario Piervincenzo Storti e il direttore amministrativo Anna Gerola, i più stretti collaboratori di Stucchi, che ascoltano in silenzio. A tre mesi dall'annuncio shock della partenza in direzione della clinica San Rocco del gruppo ospedaliero San Donato, Zogno è pronto per il chiarimento, rivolto soprattutto alla popolazione e a quanti lo hanno sostenuto in questi anni.
Prima i ringraziamenti: «Un grazie doveroso alla mia squadra di medici e infermieri, poi alla Rianimazione e al Centro di riabilitazione multifunzionale di Bozzolo. In undici anni abbiamo raggiunto ottimi risultati e i mantovani possono essere orgogliosi della loro cardiochirurgia. E allora perché te ne vai? Direte. Volevo uscire di scena in silenzio, ma qualcuno sta mettendo in giro la voce che vado via per soldi. Non è vero, me ne vado perché non sono riuscito ad avere un reparto completo, come avrei voluto. Manca la volontà politica, perché qualche politico non ha mai voluto questo reparto. Non sono riuscito ad avere gli anestesisti dedicati che avrei voluto. Noi ne abbiamo quattro, Lecco ne ha nove e Brescia che fa il nostro lavoro ne ha quindici. Il direttore generale poi in tre anni non ha mai parlato con il primario dei problemi del reparto. Gli ho anche scritto una lettera ma non mi ha mai risposto. In queste condizioni, mi sono detto, forse è meglio che uno vada via. Non resto a lavorare contro i mulini a vento».
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