Nerino Grassi: «Ecco perché ho dovuto chiudere l’Omsa»
Il fondatore del colosso Golden Lady parla per la prima volta della chiusura dello stabilimento Omsa di Faenza. «Licenziare è doloroso, ma ho dovuto farlo per evitare il declino del gruppo anche nel Mantovano – dice alla Gazzetta di Mantova - i consumi sono in calo e abbiamo dovuto cercare nuovi mercati all’est. Dazi, energia e costo del lavoro in Serbia sono per noi un’opportunità»
Corrado Binacchi
CASTIGLIONE. Golden Lady è un gruppo serio, un gruppo internazionale che opera nel mercato della calzetteria. La nostra storia, e anche i numeri di oggi, parlano per noi. E testimoniano l'impegno da parte del gruppo a mantenere una forte presenza in Italia, e per lo specifico nel Mantovano, dove abbiamo le radici e dove permane il nucleo principale degli investimenti e del know-how dell'azienda».
Nerino Grassi, fondatore del colosso della calza e dell’intimo Golden Lady, non ci sta a passare per l’affamatore del popolo, quello del licenziamento facile. L’industriale mantovano, alla guida di un gruppo da 7mila dipendenti tra Europa e Stati Uniti, rompe il silenzio e spiega la sua versione dei fatti sul caso Omsa, l’azienda di Faenza destinata alla chiusura.
«Lo scenario già complesso, caratterizzato da una forte spinta al ribasso dei prezzi al consumo e, nei mercati meno legati al valore di marca, dalla progressiva erosione di quote di mercato da parte dei produttori del Far East, si è ulteriormente deteriorato con la crisi finanziaria internazionale che si protrae dal 2008, e che ha visto ridurre i consumi in tutti i comparti. Questa situazione ha accentuato ulteriormente una condizione di sovracapacità produttiva, il cui protrarsi nel tempo ci ha alla fine portato alle decisioni che riguardano lo stabilimento di Faenza».
Grassi parla apertamente di «mancanza di alternative, di fronte a competitors che già si avvantaggiano della globalizzazione dei mercati producendo in Paesi in via di sviluppo». «Mantenere l'organizzazione produttiva in essere avrebbe significato subire passivamente un lento ed inesorabile declino. Un declino che avrebbe portato alla progressiva uscita dal mercato, minando conseguentemente la sopravvivenza stessa dell'intero gruppo, comprese le realtà produttive mantovane».
E il futuro dei calzifici del distretto? «Non c'è in agenda - afferma il fondatore di Golden Lady - alcun intervento su queste realtà produttive. Nell'Alto Mantovano sono attualmente operative la sede legale ed amministrativa di Castiglione delle Stiviere e 5 unità produttive che impiegano complessivamente circa 1.600 dipendenti. E voglio sottolineare che, solo con la catena dei 700 Goldenpoint, di cui 500 in Italia, in dieci anni abbiamo creato 2mila nuovi posti di lavoro».
Le proteste delle lavoratrici Omsa per gli annunciati licenziamenti, la pressione dei sindacati, il boicottaggio lanciato su Facebook, con l’azienda accusata di non avere a cuore il destino delle operaie. «Non siamo brutti e cattivi - replica Grassi - crede che sia stato facile per noi prendere decisioni come questa? L'azienda ha sinora affrontato la questione confrontandosi con i sindacati e l'autorità di Governo, e ne sono prova tutti gli accordi sottoscritti dalle parti: azienda, lavoratori rappresentati dai sindacati e Ministeri. Gli accordi passati dimostrano che tutte le parti hanno riconosciuto le evidenti ragioni che imponevano la cessazione dell'attività produttiva, per cui questa non è frutto di decisione o di volontà lesiva dei diritti dei lavoratori, ma è imposta dalla congiuntura economica ed è condizione irrinunciabile, ripeto irrinunciabile, per la sopravvivenza competitiva del gruppo».
Golden Lady è sulla graticola anche per la decisione di spostare alcune produzioni nei Balcani solo per fare più utili. «La decisione di produrre in Serbia - conclude Grassi non è stata presa per aumentare i profitti, che sono rimasti sostanzialmente invariati. In questo scenario congiunturale, il fatturato del gruppo è rimasto in questi anni stabile, intorno ai 620 milioni di euro. Solo nel 2009, anno di picco della crisi internazionale, si era registrata una significativa contrazione del fatturato di gruppo, a cui era corrisposto un altrettanto significativo calo dell'utile. Il confronto dell'anno 2010 con l'anno 2009 è quindi poco significativo perché si raffrontano due anni con andamenti economici molto differenti. La crescita sensibile di fatturato e utili registrata nel 2010 rispetto al 2009, non è altro che l'effetto del recupero del business rispetto ai livelli pre-crisi».
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