Profughi libici, no all’asilo politico
La decisione del tribunale di Milano. E da Mantova parte una raffica di ricorsi

No allo status di rifugiati politici per i profughi fuggiti dalla Libia. La stragrande maggioranza delle richieste di asilo è stata bocciata dalla commissione regionale che, in una parola, sollecita la loro partenza dal nostro Paese. Sono trentamila, in tutt’Italia, coloro che si trovano in questa condizione e, tra loro, anche i 24 ospiti della Caritas di Mantova. Contro questi provvedimenti anche l’Onu ha lanciato un appello al governo italiano. Ma più concretamente alcuni avvocati del foro di Mantova stanno presentando, gratuitamente, una raffica di ricorsi al tribunale di Milano, contro le decisioni della Commissione per il riconoscimento della protezione internazionale. In questo modo i profughi potranno allungare i tempi di permanenza in Italia, fino a quando il contenzioso non sarà risolto. Lo Stato italiano poteva scegliere altre forme di permesso: quello umanitario, per esempio, che prevede un limite di tempo entro il quale si può trovare un lavoro e rimanere.
«Lo status di rifugiato - commenta Andrea Benedini, responsabile della Casa di accoglienza San Luigi di Te Brunetti - è la peggior forma che lo Stato poteva individuare per ospitare questa gente. Soldi spesi inutilmente, perché alla fine di tutto questo percorso non rimane loro alcuna alternativa. Non possono cercare un lavoro e per assurdo, anche se lo trovassero a tempo indeterminato, dovrebbero comunque andarsene». Ma c’è poi un’altra questione aperta. Quella dei documenti. Come fanno tutte queste persone a tornare nei loro paesi d’origine se non possono dimostrare la loro identità?
La prima cosa che le ambasciate chiedono sono i certificati di nascita che nessuno di loro possiede. Gran parte dei profughi sono fuggiti dalle persecuzioni in patria, sono approdati in Libia per lavorare ma poi anche in quel paese africano la situazione è diventata insostenibile.
L’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati invita l’Italia a istituire un programma di ritorno volontario assistito nel paese nordafricano, attraverso accordi con il governo transitorio.
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