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Gae Aulenti, firma delle città tra moderno e tradizione

Un ricordo del grande architetto scomparso mercoledì a Milano. «Ha lasciato il segno a Parigi, Barcellona e Tokio. Iniziò alla rivista Casabella»

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MANTOVA. Le prime significative prove di Gae Aulenti risalgono agli inizi degli anni Sessanta quando una nuova generazione di architetti trova, nell'insegnamento di Ernesto Natan Rogers, il luogo per una straordinaria riflessione sul ruolo del progetto nella società, a partire da una visione etica che misura la propria cifra nella critica alle esperienze più ortodosse del movimento moderno a favore di una messa in "funzione" del concetto ampio di tradizione.

Nel periodo compreso tra 1955 ed il 1965 collabora alla rivista Casabella-continuità di cui Rogers è lo storico direttore e il lavoro all'interno della rivista costituisce per Gae Aulenti quasi una seconda scuola.

Si è già laureata al Politecnico di Milano nel 1953, ma la vicinanza a Rogers e la frequentazioni milanesi con gli altri giovani collaboratori alla rivista, tra cui l'amico Vittorio Gregotti e Aldo Rossi, costituiscono l'occasione privilegiata dalla quale leggere gli umori propri del dibattito architettonico italiano, centrale in quegli anni nella scena internazionale.

Questo per Gae Aulenti è un periodo saturo di sperimentazioni, di proficue esplorazioni, anche nel mondo del design e della grafica, nelle quali l'insegnamento rogersiano costituisce la struttura critico-teorica con la quale nei decennio successivi confrontarsi e dare prova delle proprie capacità.

Con progetti che spaziano dal design come la celeberrima lampada da tavolo Pipistrello del 1965 o il tavolo Jumbo per Knoll, dall'allestimento di case e negozi come gli showroom Olivetti a Parigi (1967) e a Buenos Aires (1968) o gli showroom Fiat realizzati negli anni Settanta a Torino, Zurigo, Bruxelles, Ginevra, Vienna, ai progetti più tardi per i musei d'Orsay a Parigi, per il Centre Pompidou, sempre a Parigi, per il museo nazionale d'arte catalana a Barcellona, Gae Aulenti da prova di uno particolare sensibilità nel tradurre il senso della storia attraverso prove di straordinaria energia provocatoria e appassionata difesa dell'autonomia della ricerca progettuale, diventando ben presto uno degli architetti italiani più conosciuti all'estero.

Così Gae Aulenti traduce nelle sue opere la coscienza del mestiere, fatta di costruzione logica come appropriatezza delle scelte alle condizioni del progetto, senza che questa tuttavia determini una corrispondenza diretta con il risultato dell'architettura.

La pluralità della sua esperienza, non solo per la vastità dei temi trattati, ma soprattutto per la capacità tipica di Gae Aulenti di immaginare il suo lavoro, al di fuori dell'imitazione formalistica, rappresenta nelle occasioni che ogni progetto propone, la capacità di coniugare un naturale rapporto con la tradizione all'espressione della sua contemporaneità, senza che questa diventi necessariamente una superficiale posizione di avanguardia.

Lo spazio dell'intreccio tra i diversi fenomeni che informano il progetto quali quello figurativo e quello costruttivo, il luogo, il tempo nella intenzione rogersiana di funzione che proietta l'azione del progetto in un mondo di forme fecondo che trovano la loro dimensione storica nel fluire tra il passato ed il futuro, diventano per Gae Aulenti un vero e proprio strumento di indagine con il quale, attraverso il ripetere rituale di alcuni gesti, di alcune figure, di alcuni colori, tradurre attraverso il gioco delle analogie i contorni all'interno dei quali opera alternativamente la dimensione razionale e l'espressione personale.

Forme legate alla storia e alla tradizione dei luoghi che con l'intervento del progetto assumono nei lavori di Gae Aulenti un volto e diventano materiale della nostra contemporaneità. Luoghi pubblici come il nuovo ingresso alla stazione Santa Maria Novella a Firenze o il riordino di Piazzale Cadorna e della facciata della sede delle Ferrovie Nord a Milano o la trasformazione del New Asian Art Museum a San Francisco (California) sono opere dove coesistono intonazioni moderniste e forme primarie, quasi arcaiche, gravide di riferimenti, in equilibrio tra la polivalenza del segno, la ricomposizione volumetrica delle parti e la complessità degli spazi.

Il progetto diviene luogo d'incontro tra la memoria e il nuovo; l'architettura, in quanto arte civile, si appropria nuovamente del suo carattere rappresentativo, volge nuovamente lo sguardo alla storia ed in particolare, come in questi progetti, a quella della città. Uno tra le ultime fatiche di Gae Aulenti è l'Istituto Italiano di cultura a Tokio dove il rosso brillante, memoria delle lacche giapponesi, diventa il segno con il quale questo straordinaria interprete dell'Italian Style traduce l'ideale ponte che collega l'oriente alla millenaria tradizione italiana.

Vittorio Longheu

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