Dal Cern di Ginevra al Giappone per domare la luce delle stelle Cervelli in fuga. Stefano Sinigardi, 27 anni, ricercatore di Governolo, si occupa delle applicazioni dei superlaser
Rivoluzioni promesse per medicina ed energia. La sua tesi è servita a trovare la particella di Dio
di Francesco Romani
RONCOFERRARO. I suoi studi hanno contribuito a trovare il bosone di Higgs, la “particella di Dio”. Ora, da due anni, è in giro per il mondo a caccia della soluzione di uno dei grandi problemi della fisica mondiale: rendere utilizzabili i superlaser, oggi prototipi solo scientifici. Ma lui, Stefano Sinigardi, 26 anni, ha mantenuto la riservatezza e i piedi per terra. Nato a Roncoferraro, «Governolo» tiene a precisare lui; massimo dei voti dal liceo alla tesi e alla specializzazione, oggi è in Giappone, faccia a faccia con i luminari mondiali della fisica delle alte energie per completare un dottorato di ricerca che è una delle sfide della fisica di punta. Riuscire ad addomesticare i superlaser “mostri” che, da soli, divorano più del l’intera energia consumata sulla Terra e che, funzionando per un infinitesima frazione di secondo possono generare un fascio di luce di estrema potenza. Un laser oggi difficilmente utilizzabile, ma che un domani potrebbe servire per migliorare la vita umana sul pianeta. Ad esempio per bucare lo spazio stellare, far regredire i tumori profondi senza operare o per ottenere una sorgente perenne di energia pulita. Questi laser che emettono potenze dell’ordine dei petaWatt (dieci milioni di milioni di volte più potenti di una lampadina) potrebbero infatti essere utilizzati per scaldare materiali a temperature assai più elevate di quella del Sole, facendoli fondere per rilasciare elevate quantità di energia.
Sinigardi, da dove è venuta la passione per la fisica?
A dire il vero non lo so. Ho fatto lo Scientifico a Mantova. Quando sono andato a Bologna per iscrivermi all’Università ero convinto di fare Lettere, poi mi sono lasciato guidare da una passione che era dentro. Senza pensare a possibili sbocchi.
Ha avuto subito le idee chiare sulla specializzazione da intraprendere?
No, al contrario. Direi però che un indicazione l’ho avuta nello scegliere la tesi. Ho studiato come rendere comprensibili, per certe livelli di energia, i debolissimi segnali che si generano negli acceleratori in modo da riuscire a scoprire in mezzo al caos delle particelle subnucleari il bosone di Higgs.
Nella specializzazione si è indirizzato verso i laser.
Sì, il problema era capire le interazioni fra i laser più potenti del mondo ed il plasma, lo stato della materia simile alle stelle.
Poi la scelta di rimanere nel campo universitario, con un dottorato di ricerca.
Sono stato fortunato. Ho vinto uno dei sei posti disponibili in Italia e così ho iniziato a lavorare ad un progetto di ricerca con il professor Giorgio Turchetti, uno dei massimi esperti italiani. Lui ha avuto fiducia di me e visto che il progetto riguarda l’utilizzo dei super laser ho iniziato a girare Europa e Giappone, perché al mondo queste macchine si contano sulle dita di una mano.
In cosa consiste questa ricerca?
Oggi i super laser esistono, sono macchine incredibili e che possono aprire sviluppi eccezionali nel futuro. Ma sono prototipi: il loro limite è che generano un fascio di protoni ad alta energia che si presenta sotto forma di nube. Occorre rendere coerente e lineare questo fascio laser. Io sto facendo degli studi di costruzione modelli tridimensionali. Perché fare esperimenti con queste macchine costa tantissimo ed oggi la fisica si confronta sempre più con le ristrettezze di bilancio. Non si può rischiare di buttare via soldi e gli esperimenti si fanno prima in realtà virtuale. Inoltre il progetto prevede di accoppiare un acceleratore, come quello del Cern di Ginevra, al super laser in modo da diminuire l’energia necessaria.
Dove ha visto questi super laser?
Ho fatto un periodo di studi a Darmstadt, in Germania, poi al Cern di Ginevra ed oggi sono in Giappone, all’Istituto per la scienza dei fotoni, vicino a Kyoto.
Non le dispiace dover andare all’estero per trovare quello che in Italia non c’è?
Girare è la regola, nella comunità scientifica. E anzi gli italiani sono molto considerati fuori dai confini. Quello che mi dispiace è che l’Italia non abbia settori di punta nella ricerca in grado di attrarre a sua volta “cervelli” dall’estero.
Prospettive future?
Tutti e tre gli istituti, in Germania, al Cern e in Giappone, mi hanno chiesto di restare. Ad oggi sarei più orientato per il Giappone. Ma in questi anni ho lavorato 365 giorni filati, dopo il dottorato voglio anche pensare a tirare fiato.
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