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Ies, dopo il corteo le accuse degli operai «Mol investe in Croazia» VD 1 | 2 | Il vescovo FT | 2

Dopo il corteo che ieri ha attraversato la cirttà, i sindacati lanciano precse accuse al gruppo unghese Mol: «Chiudono la raffineria di Mantova e investono in quella di Fiume, in Croazia, aiutati dal governo che ha una partecipazione azionaria nel gruppo. Sono milioni che spettano a noi" dicono i dipendenti. La raffineria di Fiume sembra messa in condizioni peggiori ispetto a quella di Strada Cipata, ma dietro c'è il governo di Zagabria, sostiena la Cisl

Igor Cipollina
2 minuti di lettura

s2MANTOVA. I manifestanti “sandwich” sfilano compressi tra due cartelli che raccontano tutto quello che c’è da sapere. Le due facce di una vicenda ancora da sciogliere nei suoi nodi più ostinati. “Siamo impegnati nel costruire un ambiente di lavoro basato sulla fiducia reciproca, in cui tutti coloro che lavorano per il Gruppo Mol sono trattati con dignità e rispetto” recita il cartello frontale, citando il codice etico della multinazionale ungherese. “Il Gruppo Mol chiude la Ies e investe 400 milioni per la raffineria di Fiume” denuncia il cartello posteriore. «Significa che i soldi ce li hanno messi nel didietro» chiosa, colorito, un lavoratore armato di fischietto.

Significa che la Mol si contraddice, tappa il “buco” di Mantova per allargare la falla di Fiume. Lo dice Paolo Spadafora della rsu (Femca Cisl) durante la sosta in municipio per confrontarsi con il sindaco Nicola Sodano: «La verità è che il governo croato, che ha una partecipazione azionaria nel gruppo, ha preteso che Mol investisse nello stabilimento di Fiume. Una raffineria che a conti sembra essere messa peggio di Mantova».

Lo ripete Giovanni Pelizzoni, segretario generale di Uiltec, che punta l’indice contro la mancanza di rispetto di Mol: se c’è un problema di raffinazione in Europa, se la crisi è di mercato come gli ungheresi hanno ribadito durante l’incontro al ministero, perché investire 400 milioni in un’altra raffineria. Fiume non è forse Europa? E poi se non osa una multinazionale dalle spalle robuste, chi la può sollevare la nostra economia? L’artigiano?

Azelio Bacchetta, altro delegato di fabbrica (Uiltec), torna alle parole del viceprefetto Angelo Araldi, che l’altra sera, durante il consiglio comunale aperto, aveva denunciato lo smarrimento di una Mantova senza più spessore identitario. Una città che sta rotolando giù da un piano inclinato. Per Bacchetta è necessario tornare allo spirito del secondo dopoguerra quando, per frenare l’emorragia di teste e braccia verso un altrove più industrializzato, gli amministratori decisero d’investire in un polo chimico. Naturalmente a quello spirito andrebbero applicati i correttivi sanitari e ambientali dell’orizzonte presente.

Quello che pochi dicono, e Bacchetta calca con forza, è che la raffineria di Porto Marghera (Eni) sarà veramente verde soltanto tra cinque anni, nell’attesa si continuerà a lavorare il greggio. Nel deposito venturo di Mantova, però, arriverebbero i prodotti già finiti in India o Cina, dove i vincoli ambientali sono una scocciatura in meno per le multinazionali. Allora tanto “meglio” se gli ungheresi avessero annunciato la volontà di lasciare Mantova, piuttosto che tenere piantata la bandierina di un “polo logistico”. La soluzione? Bacchetta corre avanti e lancia la proposta di una cooperativa di lavoratori.

Aspro il commento di Aldo Menini, segretario della Cisl: «Buttare via dopo pochi anni un investimento da un miliardo di euro significa buttare via, insieme a una fetta di lavoro, anche una pezzo di prospettiva industriale. Il problema investe la società civile tutta. Se si può ancora nutrire la speranza di una soluzione? Dobbiamo provarci». Il segretario generale della Cgil, Massimo Marchini, legge un segnale incoraggiante nella risposta di Mantova all’appello dei dipendenti della Ies: la gente affacciata ai balconi, sull’uscio dei negozi, sotto i portici testimonia che la città tutta sta dalla parte del lavoro. Adesso occorre lavorare sul Governo.

Filtrata attraverso il setaccio della mattina di protesta, rimane una strategia in un due mosse: fare luce sull’accordo tra Eni e Mol e costringere gli ungheresi a dirottare i 400 milioni di euro da Fiume a Mantova. Il viaggio è di sola andata.

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