Busti sferza la politica: serve uno scatto d’orgoglio
Intervista con il vescovo: "Basta piangersi addosso, cuore e intelligenza per un territorio lacerato". E' stato l'anno dello storico passaggio da Benedetto XVI a Francesco: "Da Ratzinger un gesto storico. Nella Chiesa aveva incontrato una deriva di potere poco cristiano, così ha deciso lasciare spazio a chi ha più forza per purificare le incrostazioni"
di Gabriele De Stefani
Il vescovo prende un cartello di un dipendente Mps e se lo mette al collo: “Sono una risorsa. Non sono un esubero”. Il protagonista è Roberto Busti e la data è l’11 ottobre scorso, sette giorni dopo l’annuncio che per la Ies non ci sarà più un domani. Di scuola martiniana - poca Curia e più parrocchia, una Chiesa del sociale - il vescovo ha fotografato così il drammatico 2013 di una provincia e di un Paese nei quali avere un lavoro è diventato un privilegio. Immagine simbolo.
Siamo al sesto Natale in crisi e Mantova sembra soffrire più di altri territori. Quanto vede cambiata la città dal giorno del suo insediamento, nel 2007?
Quando sono arrivato ho avuto la sensazione di trovarmi di fronte a una città e a un territorio fortunati. Ho incontrato persone volitive e accoglienti, ho imparato a riconoscere le diversità culturali e relazionali della gente sopra o sotto il Po, ho ammirato la distesa feconda della pianura la cui estensione, nuova per me, mi infondeva il senso della vastità che incute timore; mi ha toccato la dolcezza di colline ordinate nel lavoro, quasi uno splendido disegno che sa collocare ogni cosa al posto giusto. Mi mancavano le montagne, sì, ma la nostalgia è stata appagata da tante persone che, da subito, mi hanno fatto sentire a casa. Una società serena insomma, con problemi meno pungenti di quelli che avevo lasciato altrove. Oggi questi sono una città e un territorio affaticati, stanchi e spesso delusi. La preoccupazione si è fatta ansia e si è vestita di amarezza; i problemi diventati occasione di perenne contesa senza sbocco; il lavoro sempre più precario, il commercio asfittico e il sorriso della gente più spento. Vedo meno orgoglio di appartenenza e di riscatto. Non mi piaceva sentir definire la mia città “la bella addormentata” ma ora mi sembra addirittura intorpidita.
Politica, imprenditoria e sindacati hanno esaurito le risposte. Lei ha comunicato la sua presenza con immagini, parole e presenze. Cosa può dire la Chiesa?
È questo il guaio. In pochi anni sono venuti meno i riferimenti che hanno permesso a quel benessere diffuso di accogliere nella nostra terra, senza eccessivi disagi, persone provenienti da mondi lontani, in cerca di dignità e di un futuro migliore. Ma noi non siamo un'isola, e ancor meno felice: la crisi ci ha colto impreparati, le forze e le idee che hanno permesso il precedente sviluppo negli anni buoni si sono spesso rivelate insufficienti di fronte alla gravità della prova. Io cerco sempre di condividere la pena di chi è senza lavoro o con pochissime speranze: mai come in questo momento imprenditori e prestatori d'opera sono accomunati nella sofferenza. Ma mi rode nel cuore la constatazione di non poter fare quasi nulla, oltre alla comprensione, alla condivisione e al conforto. Per questo, come responsabile della Chiesa mantovana, vorrei richiamare tutti, con delicata fermezza, alle proprie responsabilità: è tempo di rimettere in circolo, a servizio dell'intera comunità, qualcosa di quanto abbiamo ricevuto in dono. Nessuno può dirsi autore della propria fortuna indipendentemente dagli altri: allora si mettano in campo intelligenza, conoscenze, legami, possibilità, ricchezze e ancor più il cuore, per rattoppare questo tessuto lacerato, in attesa di poterlo ricomporre pienamente, seppur in altri modi. La comunità cristiana mantovana esercita, con la Caritas e le parrocchie, l'attenzione alle necessità più immediate (cibo, casa, bollette) e anche ad altre più complesse attraverso iniziative mirate; ma il venir meno dei contributi che ci sono dovuti dall'istituzione civile potrà toglierci anche la possibilità di continuare. È tempo di un intelligente scatto d'orgoglio, più che di piangerci addosso.
A proposito di impegno sociale della Chiesa, dopo oltre un secolo Lei ha indetto un Sinodo. Qual è l’obiettivo?
La funzione del Sinodo è quella di ricompattare la comunità cristiana non tanto attorno alle cose da fare o da rifare, ma a un modo di essere cristiani. C'è da ricostruire l'insieme di legami e relazioni che, a partire da quella fondamentale con Gesù, ci rende capaci di creare una vera fraternità tra gli uomini, come afferma Papa Francesco nel messaggio per la Giornata della Pace: "La fraternità è una dimensione essenziale all'uomo; senza di essa è impossibile la costruzione di una società giusta, di una pace solida e duratura". Mi pare invece che la dimensione attuale delle relazioni umane vada in tutt'altro senso, quello che spinge ciascuno a badare a se stesso: così non si fa altro che affondare di più, perché è solo l'unione dell'intelligenza e dei cuori a costruire una forza capace di cavarci fuori dall'abisso.
Su questi temi è forte l'impegno di Bergoglio, uomo dell'anno secondo Time. Un Papa mediatico ma anche con piglio riformatore. Dove sta la forza del messaggio del Pontefice? Dove sono invece le resistenze difficili da vincere? La sensazione è che Bergoglio per la Chiesa sia un'opportunità decisiva.
La forza morale di questo Pontefice, inaspettato dono dello Spirito Santo, sta anzitutto nella sua fede rocciosa che trova l'espressione principale in un’amabilità eccezionale. La sua è fede fondata sulla certezza dell'amore di Dio che ci è padre, madre, fratello e sorella; uno cioè che condivide pienamente la nostra vicenda umana e lo fa da Dio, usando ciò che lo definisce in modo unico: la misericordia che perdona sempre, ogni volta che uno la richiede. Bergoglio ha ribaltato in senso conciliare il modo di riferirsi a Dio: è lui per primo a venirci incontro, a noi è chiesto di accorgerci e di accogliere, se vogliamo, la sua proposta. Così uno si sente prima di tutto amato più che giudicato. È chiaro però che la legge dell'amore è molto più esigente di ogni altro comandamento della legge. La riforma dell'organizzazione ecclesiastica alla quale il Papa, con pazienza e determinazione, sta mettendo mano, cammina su questa linea. Come deve fare oggi la Chiesa, in ogni settore del vivere umano, a manifestare la sua fede e la sua fiducia in un Dio così, che rappresenta una grande opportunità per la completa affermazione umana? Egli pensa alla Chiesa come a una comunità sempre in uscita, a percorrere le strade del mondo per incrociare e dialogare con l'uomo moderno e i suoi problemi. Scrive Francesco: "Preferisco una Chiesa accidentata e sporca per essere uscita per le strade, piuttosto che una Chiesa malata per la chiusura e la comodità di aggrapparsi alle proprie sicurezze". Ritengo che la Chiesa mantovana, anche con il Sinodo, sia già felicemente su questa strada: spero ne esca ringiovanita ed entusiasta.
Il 2013 passa alla storia per il passo indietro di Ratzinger. A dieci mesi di distanza, cosa ha rappresentato l'abdicazione di Benedetto XVI? Quale sentimento prevale in lei?
La nostra cattiva abitudine a correre sempre, quasi stessimo perdendo ogni momento il treno della storia, ci ha fatto passare velocemente oltre il gesto unico e inaspettato di Benedetto: un gesto che ha segnato in modo indelebile la storia della Chiesa e della cristianità. Pontefice di una levatura intellettuale straordinaria, di tanta gentilezza e bontà che si traducevano in fiducia incondizionata nei suoi collaboratori, si è trovato a dover fare i conti con una deriva di potere sotterraneo ben poco cristiano e tanto meno esemplare. Ha intuito la necessità di una riforma ampia e radicale e, non sentendosi in forza adeguata, ha scelto di passare ad altri, diciamo più forti di lui, la responsabilità del comando. La Chiesa dovrà essere sempre grata a un uomo così, che l'ha amata e servita per tutta la vita chiudendosi poi nel nascondimento più completo e nel silenzio più umile. Paragoni personali è impossibile farne: la prorompente umanità di Francesco si fonda sulla solidità dell'insegnamento di Benedetto, il Papa che, al di là delle apparenze, ha aperto canali impensabili di dialogo con la modernità. Oggi è il momento dell'entusiasmo e della rifondazione popolare dei primi capisaldi della fede cristiana, dell'annuncio del Vangelo, come ai tempi apostolici. Ed è anche il tempo della purificazione dalle incrostazioni troppo umane che hanno deformato il vero volto della Chiesa, popolo di Dio vivente nella storia. L'abdicazione di Benedetto ci insegna che non possiamo rimanere attaccati al “si è fatto sempre così”; il ciclone Francesco ci riapre il cuore a un sentimento fuori moda: l'entusiasmo per ciò che conta davvero. E come escludere Dio da questo cammino?
Quale augurio, dunque?
Il più semplice possibile, perché di parole ne spendiamo troppe, talvolta anche vuote. Vorrei che tutti possano avere non solo una giornata buona a Natale, ma anche un cuore più buono, che resti tale per il prossimo anno: staremmo sicuramente meglio e, forse, ci troveremmo fianco a fianco a cercare caparbiamente proposte che aiutino soprattutto chi ne ha bisogno. Ma il mio ricordo e la vicinanza speciale va a coloro che, per i più vari motivi, oggi soffrono.
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