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Corneliani-Bianchi, la cultura di due dinastie della moda

Carlalberto Corneliani ed Edgardo Bianchi hanno chiuso il ciclo di incontri su Moda e Cultura parlando delle loro aziende che hanno il proprio dna nella cultura che Mantova ha saputo esprimere nei secoli. A tal punto che c'è chi propone di utilizzare per queste due grandi aziende il marchio “Made in Mantova”

Maria Antonietta Filippini
3 minuti di lettura

MANTOVA. Maria Teresa d’Austria avrebbe molto apprezzato la conversazione di su moda e cultura, con Edgardo Bianchi, giovane ad della Lubiam, e Carlalberto Corneliani ieri all’Accademia Virgiliana, erede di quella da lei voluta, e a cui fece costruire a fine Settecento la bella sede di piazza Dante con annesso il teatro scientifico del Bibiena. Perché l’imperatrice, si sa, ci teneva alla cultura e all’economia. Ma siccome poi gli austriaci, dopo di lei, non si sono fatti amare, meglio ricordare Isabella d’Este, la signora Gonzaga che disegnava e faceva cucire abiti meravigliosi che costavano come una nave. E dettava legge alla moda del Rinascimento.

La bellezza di Mantova, racconta Carlalberto Corneliani, è «nel nostro dna». Lui passeggiando in città lancia sempre un’occhiata a Sant’Andrea - «mi piace di più dietro, in piazza Alberti» - ai palazzi della Ragione e del Podestà. Insomma la mantovanità esiste. Tanto che Margherita Guarino, tra il pubblico, rendendo onore alle due ditte di moda maschile di fama internazionale, propone di utilizzare il marchio “made in Mantova” («noi Castor abbiamo scelto come brand Mantù»). Poco prima Corneliani aveva spiegato che l’Italia dovrebbe ottenere il riconoscimento in Europa del marchio “made in Italy”. «La gente in Germania può scegliere di comprare quello che vuole, anche i prodotti cinesi che costano poco, però è giusto che sappia. Quando esportiamo in America noi dobbiamo fornire una dettagliata certificazione».

La conversazione, aperta dal presidente dell’Accademia Nazionale Virgiliana, Piero Gualtierotti, è guidata da Marco Belfanti, docente di storia economica all’università di Brescia, e vede con Bianchi e Corneliani, Francesco Merisio, direttore del Centro servizi per la calza di Castel Goffredo, e Paola Bulbarelli, assessore regionale e per tanti anni giornalista di moda.

“Oltre il futile e l’effimero: quando la moda è cultura” diceva il titolo. E Belfanti subito fa notare come a Mantova siano radicate due importanti aziende di moda per uomo che, nonostante la loro espansione, sono ancora a conduzione famigliare. Edgardo Bianchi, quarta generazione, ricordato che Lubiam ha superato i cento anni (nata nel 1911), Corneliani racconta degli inizi del padre nel 1931, del rilancio nel 1958 insieme a suo fratello Claudio: dagli impermeabili per conto terzi all’abbigliamento uomo di lusso, con fabbriche anche all’estero. Come la Lubiam, ma entrambe le aziende - con scelte di stile e target diversi - mantengono a Mantova stabilimento principale e “testa”.

xw«Ai miei figli ho quasi vietato di entrare in azienda fino a 18 anni, volevo che studiassero e decidessero liberamente quello che volevano fare» spiega Corneliani. «La Lubiam è un’espressione del territorio - osserva il primogenito di Giuliano Bianchi che porta il nome del nonno -, porta l’impronta della nostra famiglia, ma anche di quanti ci lavorano, che all’80% sono mantovani. Per noi sono importanti i valori che i nonni hanno saputo imprimere: impegno, dedizione, onestà. Fino a quando si potrà mantenere la continuità della famiglia? Non si può dare per scontato. E’ anche difficile essere lucidi nel giudicare se i propri figli sono adatti al ruolo».

Aziende famigliari sì, sottolinea Paola Bulbarelli, «se definiamo così anche la Tod’s di Diego Della Valle». Di certo, i “ragazzi” Bianchi e Corneliani fanno gli studi giusti e le giuste esperienze all’estero. «Quando l’azienda cresce - spiega Corneliani - bisogna organizzarsi anche con i comitati, in cui coordinare i vari rami dalal produzione al marketing e i vari manager. Basta che non siano troppi, altrimenti sono dispersivi».

Ma le aziende familiari, tipiche dell’Italia, e che vanno bene nella moda, non certo per chi produce aerei, dice con realismo Corneliani, hanno un vantaggio, almeno finchè non vanno in Borsa e a quel punto cambiano natura. «La famiglia ha lo sguardo lungo, è radicata nel territorio, nel quale si identifica. Non deve fare bilanci trimestrali in cui anche se il margine operativo lordo è positivo, si fa una tragedia perchè è calato dell’un per cento».

Con eleganza evita i confronti, ma è chiaro che molte aziende vanno in crisi anche perché troppo condizionate dai soci finanziari, per i quali il prodotto è indifferente e i lavoratori sconsciuti. Carlalberto Corneliani negli anni si è permesso scelte azzardate: «Negli anni Sessanta in Italia c’erano tante fabbriche - oggi chiuse - con migliaia e migliaia di dipendenti che vestivano gli uomini. Poi si è dovuto passare sul lusso, abbandonando il primo prezzo, vista il differente costo del lavoro rispetto a Europa dell’Est o Cina. Dovevamo vendere sogni. E allora ho aperto negozi Corneliani nei luoghi più prestigiosi: a Firenze nella trecentesca casa della corporazione della lana, a New York dove mi stanno offrendo cifre da capogiro per portarmelo via». E a Milano, ricorda Paola Bulbarelli, in via Montenapoleone, spendendo uno sproposito di buona uscita per entrare al posto di uno «storicissimo salumaio».

Francesco Merisio invece racconta il distretto della calza, che raggruppa in un raggio di 25 km attorno a Castel Goffredo oltre 220 aziende con un fatturato poco oltre il miliardo di euro e con 5.500 lavoratori. Un prodotto “povero” rispetto ai capispalla, ma che a Shangai si è presentato con l’immagine della Camera Picta del Mantegna, come a dire: siamo bravi perché facciamo calze meravigliose già dal Cinquecento. Insomma la Camera degli sposi è un’attrattiva per i turisti, ma illustra bene anche il motivo dell’eccellenza mantovana.

Perché nel mondo si vende bene “lo stile di vita italiano”, fatto di cultura, paesaggi, arte, storia. Che si declina nella moda, nel cibo, nell’abitare. Il mantovano Baldassar Castiglioni nel Cortegiano suggeriva - cita Belfanti - la «sprezzatura», sorta di non chalance. Cultura e moda si ricollegano e alimentano la ripresa. Oggi soprattutto nell’export. «Peccato che in America e nel mondo si ig norano che il film Romeo&Juliet è girato quasi tutto a Mantova». E il gran ballo nella sala di Manto, oggi chiusa come la Camera Picta, per il terremoto.

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