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Bonifiche, un grande flop "Serve il codice penale"

Monica Viviani
2 minuti di lettura

 MANTOVA. Oltre 100 mila ettari di territorio ancora contaminati, piani di caratterizzazione presentati solo per 11 siti su 39, progetti di bonifica approvati al 100% solo in tre casi: l’ultima fotografia scattata da Legambiente sui siti di interesse nazionale è «la dimostrazione di un fallimento».

E quella lanciata ieri, venerdì,  dalla convention su «Inquinamento e salute» è l’ennesima denuncia di un fallimento «di quell’operazione che alla fine degli anni ’90 portò al varo del programma nazionale di bonifica». A raccontare di questo flop inaccettabile: dalla coordinatrice della rete Sin Mariella Maffini al vicepresidente nazionale di Legambiente Stefano Ciafani, da epidemiologi come Paolo Ricci di Airtum e Roberta Pirastu de La Sapienza, a sindaci e assessori di Comuni contaminati passando per i comitati dei cittadini e i medici per l’ambiente.

Oltre 110 persone hanno assistito al seminario organizzato dell’ex assessore all’Ambiente del Comune di Mantova che ha voluto dedicarlo «a tutte le vittime che questo scempio si porta dietro e soprattutto ai bambini che sono il nostro futuro e a cui dobbiamo un ambiente sano». E se a Mantova lo stesso studio Sentieri ha evidenziato incrementi di tumori al pancreas, alle ossa, alla mammella e alla tiroide tali da vedere gli esperti raccomandare «una sorveglianza epidemiologica - ha spiegato Pirastu - insieme al completamento della messa in sicurezza del Sin» perché i risultati di questi studi «sono sufficienti a giustificare - ha aggiunto Ricci - misure di prevenzione primaria e l’applicazione delle misure di bonifica», è anche vero che i ritardi non riguardano solo Mantova.

E le cause sono molteplici come ha ricordato il vicepresidente di Legambiente. A partire da quella economica: «Ci sarebbe bisogno di 30 miliardi mentre dal 2001 al 2012 ne sono stati messi in campo 3,6 di cui 1,9 pubblici». Per proseguire con «il ruolo inadeguato del ministero dell’Ambiente», per passare poi alle cosiddette «finte bonifiche», al fatto che «chi ha inquinato ha approfittato dei ritardi del pubblico», e anche al rischio di infiltrazioni delle ecomafie visto che le poche bonifiche in corso «sono troppo spesso oggetto di illegalità».

Ciafani ha snocciolato dati da pelle d’oca: «Dal 2002 a oggi ci sono state 19 indagini per smaltimento illegale dei rifiuti di bonifica dei Sin, 150 ordinanze di custodia cautelare, 550 persone e 105 aziende coinvolte». Per questo «è fondamentale che gli interventi si facciano sul posto» e che i «delitti ambientali entrino nel Codice penale» nonostante il testo di legge che lo prevede sia arenato al Senato dallo scorso marzo. La ricetta? Quella di Legambiente ha 10 ingredienti tra cui l’istituzione di un fondo nazionale per le bonifiche dei siti orfani e l’applicazione del principio del «chi inquina paga» anche dentro al mondo industriale perché «Confidustria dovrebbe cacciare i propri soci che inquinano».

Ma ora un nuovo ostacolo si profila all’orizzonte e a denunciarlo è ancora Mariella Maffini: «Il decreto sblocca-Italia rischia di esautorare il ministero dell’Ambiente dalla gestione dei Sin che farebbe capo alla presidenza del consiglio e a commissari da questa nominati. Insomma il pericolo è che si ricominci da capo». E una nuova marcia indietro non è esattamente quello che serve.

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