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Sanità da riformare Ecco le tre ipotesi che agitano la politica

Scompaiono le Asl: Mantova e Cremona nella stessa agenzia E il Poma non sarà più azienda. Oggi arriva un altro testo

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Il libro bianco? S’è ingiallito in un arricciarsi di angoli e ora riposa dimenticato in qualche soffitta, su al Pirellone. In compenso la riforma della sanità lombarda ha gemmato testi, maxiemendamenti e subemendamenti: l’ultimo dovrebbe arrivare in commissione oggi. Più che un emendamento, e pure sub, un nuovo testo lungo una trentina abbondante di articoli. Mentre il calendario informa che manca soltanto un mese alla discussione in aula (il Pd ha già annunciato che farà ostruzionsimo, il Movimento 5 Stelle ci sta pensando).

Il tempo stringe, eppure sembrava ci fosse tutto l’agio del mondo. A dicembre era cosa fatta, poi la bozza del leghista Fabio Rizzi, approvato con delibera di giunta, è andato di traverso ai compagni di maggioranza di Forza Italia ed Ncd. Sei mesi dopo i nodi restano ancora da sciogliere. Quali nodi? «La maggioranza si è divisa sulla tutela di interessi particolari, sul rapporto tra pubblico e privato, sull’opportunità di rompere il sistema formigoniano» risponde il consigliere regionale Andrea Fiasconaro del Movimento 5 Stelle. Che non siede in commissione sanità, ma segue la materia da vicino.

Il subemendamento è atteso per oggi, intanto resistono tre ipotesi di riorganizzazione: è l’architettura della riforma in cui i nuovi articoli dovrebbero incastonarsi. Busta numero 1, 2 o 3? La più accreditata sembra essere la numero 1, ma a navigare nel mare degli acronimi c’è da restare storditi. L’ipotesi prevede che la programmazione in materia sanitaria sia affidata a otto Agenzie di tutela della salute (Ats) così articolate: Insubria (comprendente le province di Varese e Como per un totale di 1,4 milioni di abitanti); Brianza (Lecco e Monza Brianza, 1,2 milioni di abitanti); Bergamo (1,1 milioni di abitanti); Brescia (1,1 milioni di abitanti); Pavese e Lodigiano (785mila abitanti); Val Padana (Cremona e Mantova, 739mila abitanti); Ats della Montagna (Sondrio, distretto Asl medio alto Lario della provincia di Como e Asl Valle Camonica-Sebino per un totale di 346mila abitanti); Ats della Città Metropolitana (Milano con i suoi 3,1 milioni di abitanti). A conti fatti, la nuova architettura taglierebbe 21 poltrone, da 162 a 141.

Se le Ats programmano, le aziende socio sanitarie territoriali (Asst) erogano i servizi: secondo l’ipotesi 1, Mantova e Cremona manterrebbero due aziende autonome. E quella di Mantova includerebbe anche il distretto Asl di Casalmaggiore. Il numero delle aziende ospedaliere, però, si asciugherebbe da 15 a 3: Papa Giovanni XXIII (Bergamo), Spedali Civili di Brescia, Niguarda. Insomma, addio Poma. Andrebbe peggio con l’ipotesi 2, che sega 41 poltrone accorpando Mantova a Pavia, Lodi e Cremona nell’Agenzia della Valpadana. Ancora più drastica l’ipotesi 3 con 59 poltrone in meno e la stessa Ats Valpadana.

«Resta da capire quanto potere decisionale resterà sul territorio, se la “testa” dell’Ats sarà a Mantova o a Cremona» commenta Fiasconaro, dando per buona l’ipotesi numero 1. L’obiettivo è «salvaguardare quanto di buono è stato fatto». Senza andare in bianco come il libro ingiallito.

Igor Cipollina

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