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Rifugiati in parrocchia? Busti: noi siamo pronti

Il vescovo rilancia l’appello del Papa: serve ospitalità decorosa e dignitosa. La Caritas: già in corso da tempo un recupero delle canoniche in disuso

di Monica Viviani
2 minuti di lettura

MANTOVA. «Noi ci siamo». L’appello di papa Francesco alle diocesi europee perché ogni parrocchia ospiti una famiglia di rifugiati, non coglie impreparata la Chiesa mantovana dove la macchina dell’accoglienza è da tempo rodata. Un’accoglienza che «deve essere decorosa e decente» e che guardi avanti «in una prospettiva che possa essere anche lavorativa»: questo l’invito che monsignor Roberto Busti lancerà a sua volta domenica alle Grazie in occasione dell’incontro con i responsabili dell’assemblea sinodale.

«Avevo già in animo di chiedere in quell’occasione - spiega il vescovo - di mettere in atto qualcosa per un’accoglienza decorosa e decente per queste persone che arrivano». E ora che il pontefice ha indicato la strada, si tratterà di capire e riflettere sulle modalità. «A fine mese il consiglio della Cei analizzerà l’argomento sotto tutti i punti di vista, quindi non solo umano e sociale ma anche, ad esempio, giuridico al fine di individuare modalità e indicazioni da offrire a ogni diocesi - prosegue Busti- Dobbiamo da subito vedere come fare per dare una mano e fare in modo che non succeda che emergano solo paure nei confronti di queste persone. L’appello del pontefice si inserisce in un percorso che la Chiesa mantovana ha già iniziato, ora si tratterà di verificare gli spazi».

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Insomma le 171 parrocchie mantovane sono pronte a fare la propria parte e non da oggi: il direttore della Caritas Giordano Cavallari ricorda infatti che da tempo nel Mantovano è in corso a questo scopo un recupero di ambienti di proprietà della Chiesa, come ad esempio di vecchie canoniche in disuso. «E’ un progetto - spiega - partito con il vescovo Caporello per dare ospitalità in spazi inutilizzati a persone o nuclei con bisogni diversi come le mamme sole con bambini o le famiglie sfrattate a cui ora si aggiunge l’emergenza dei richiedenti asilo».

In tutto al momento sono circa 30 i profughi ospitati dalla Caritas in piccoli gruppi in strutture recuperate in provincia negli ultimi anni. «La Chiesa è in campo da tempo per far fronte ai bisogni dei poveri e dei migranti e la proposta del Papa - prosegue Cavallari - non ci coglie impreparati. Le nostre parrocchie sono attivate e l’obiettivo è di arrivare a 40 ambienti in disuso recuperati a questo scopo». E’ ad esempio del 2014 l’inaugurazione della casa delle suore di Borgoforte che ospita 11 migranti ed è di meno di due settimane fa il via al progetto di housing sociale “Alloggiare i senza tetto” nell’ex canonica di Marengo: un tempo residenza del parroco, è stata riconvertita per dare risposta all'emergenza abitativa presente in Italia, ma anche in arrivo dai Paesi martoriati dalla guerra e dalla violenza.

Non solo. «Già alcune famiglie si sono rese disponibili ad accogliere rifugiati - prosegue Cavallari - anche se non si tratta di un percorso semplice».

Caritas si occupa poi dei profughi arrivati a Mantova nel 2011 in fuga dalla Libia così come di fornire assistenza a tutti quei rifugiati costretti a tornare qui per rinnovare i permessi di soggiorno. «Oltre ai dati ufficiali vi sono inoltre persone in arrivo dai Balcani che chiedono aiuto immediato per mangiare, vestirsi, lavarsi e non rientrano tra coloro che sono coperti dall’assistenza dello Stato».

La prima emergenza, l’accoglienza immediata per far fronte a un fenomeno epocale «che comunque era prevedibile almeno dal 2011», secondo il direttore della Caritas non risolve però quello che «resta il problema di fondo che è di prospettiva: a molti di questi richiedenti asilo non verrà riconosciuto lo stato di rifugiato perché in fuga da fame e miseria ma non da guerre. La grande politica che ha sottovalutato questi fenomeni avrà il coraggio di cambiare le regole?».

Ma solo il coraggio non basta: «Serve anche lungimiranza per capire, come ha capito la Merkel, che queste persone possono essere un’opportunità per lo sviluppo del nostro Paese. Ci chiediamo se i nostri politici locali possiedono questa lungimiranza. Non certo chi si limita a ripetere “non a casa mia”».

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