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Ulderico, 97 anni: «A Cefalonia mi salvai così»

L’eccidio sull’isola da parte dei tedeschi Di Sustinente uno degli ultimi superstiti

di Daniela Marchi
2 minuti di lettura

«Non sono mai stato tra gli audaci, a salvarmi è stata la voglia di tornare a casa». A volte la storia è semplice. È fatta di sentimenti primordiali, la paura, la nostalgia, l’istinto di scappare a gambe levate perché non si può fare altro.

Ulderico Giavarotti, detto Giacomino, è nato a Sustinente il 24 marzo 1918. Lui è un pezzo di storia, ma di quella vera, quella studiata a scuola, che leggiamo nei nomi dati alle vie, quella che ha portato alla libertà che ci sembra regalata oggi. Giacomino è uno dei pochi soldati, ancora in vita, sopravvissuti all’eccidio di Cefalonia, il massacro - quasi diecimila uomini - compiuto dai tedeschi a danno degli italiani, dopo la firma dell’armistizio dell’8 settembre 1943.

Lo incontriamo nella sua casa di Sustinente dove vive da tutti e novantasette gli anni della sua lunga esistenza. Anzi, i primi decenni di vita li ha trascorsi in un’abitazione diversa, a venti metri da questa nuova, che si è costruito negli anni Sessanta, quando cominciò a lavorare come muratore, dopo gli anni della gioventù a servizio nella macelleria di Guido Rossi, un secondo padre per lui.

Mente pronta, gambe ancora attive (anche se aiutate da due stampelle), da trentasette anni si gode la pensione e il riposo, insieme alla moglie Iris Rezzaghi».

Quasi un secolo di vita, quella di Giacomino, una vita che sarebbe trascorsa fluida e lineare, se non ci fosse stata quella frattura della Seconda Guerra.

Come ha fatto a salvarsi dalla carneficina messa in atto dai tedeschi sull’isola greca, gli chiediamo subito?

«Non lo so. Non lo so ancora, dopo settant’anni. Non sono mai stato tra gli audaci, se c’era da scappare via, io ero il primo».

La semplicità della storia, gli istinti primordiali.

«Mi ha salvato la voglia di tornare a casa, dove non avevo niente, eravamo sette fratelli, cinque maschi tutti in guerra, mia mamma era morta, la nostra casa era stata mezza distrutta dai bombardamenti. Eravamo poveri, avevamo appena un orto da lavorare tutti insieme. Ma era casa mia, era la mia famiglia. E lì in Grecia cosa ci facevo? Combattevo per cosa e per chi?».

La mente di Ulderico è lucidissima e capiente, in questi settant’anni ha trattenuto tutto: nomi di commilitoni e ufficiali, i nomi delle località che in tre anni di permanenza a Cefalonia aveva avuto modo di conoscere. E ogni tanto, quasi come un gioco autoimposto, continua a segnarsi, a matita su un foglietto, tutti i nomi che si sforza di ricordare: Lakitra, Kardacata, Capomunda, Divarata, San Teodoro.

Cosa ricorda di quegli anni a Cefalonia e dei quei giorni terribili dopo l’armistizio?

«Sono partito militare nel ’38 nel 29° Reggimento Fanteria Asti. Scoppia la guerra e nel ’41 ci mandano a migliaia a rafforzare i reggimenti e io finisco nella Divisione Acqui. Ci imbarchiamo a Taranto e sbarchiamo a Cefalonia. Fino al ’43 abbiamo fatto occupazione pacifica. Poi in quei giorni di settembre è scoppiato l’inferno. Ricordo in particolare tre giorni di battaglia continua, vedevo ovunque gente che veniva ammazzata, i greci ci aiutavano, ci avvisavano dell’arrivo dei tedeschi e dei loro assembramenti e noi cercavamo di trovare ripari. Ho visto di tutto, ma alcuni momenti il mio cervello non vuole ricordarli, li ha cancellati. Per questo non so come mi sono salvato: so che c’erano mine che facevano saltare uomini in aria, i tedeschi che passavano per la strada e falcidiavano chiunque si trovassero davanti, i caccia che mitragliavano rasoterra. E poi tutti quei corpi agonizzanti a terra: i crucchi li trovavano e li finivano con le pistole, altri li spedivano in mare sulle zattere. Qualcuno si salvava coprendosi con i morti».

Lei ce l’ha fatta e nel ’44 è rientrato in Italia.

«Ho avuto fortuna, quando tutto è finito, dal mio fucile non era partita nemmeno una pallottola. Non mi sono mai trovato di fronte qualcuno che mi ha puntato un’arma. Le ho detto, non avevo paura, non pensavo di morire, ma non ero un audace». Nonostante l’umile sminuirsi, invece Ulderico riceve la Croce al Merito di Guerra. «Appartenente alla Divisione Acqui, ha combattuto valorosamente contro i tedeschi durante la Battaglia di Cefalonia svoltasi dal 13 al 22 settembre 1943. Egli appartiene - è scritto sul documento a firma del capitano Renzo Appolonio - a quel gruppo di reduci da Cefalonia, rientrati in Italia il 13 novembre 1944, al quale il Quartier Generale Alleato del Medio Oriente (Cairo) ha concesso l’onore delle armi per l’aiuto segreto prestato agli alleati, durante il giogo tedesco».

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