Per gli argini mancano 25 milioni
Dalle barriere sul Po non ancora rialzate allo scolmatore: ecco la lista dei lavori da finire
di Francesco RomaniMANTOVA. Il conto di quanto manca all’appello è presto fatto: circa 25 milioni di euro. Ma sul maxi piano di sicurezza dalle piene, necessario per dare tranquillità ai residenti di una provincia attraversata da imponenti corsi d’acqua e da uno straordinario reticolo di fiumi minori, non ci sono al momento stanziamenti certi.
Le reiterate richieste di finanziamento giacciono da anni in decine di cassetti e sulle scrivanie di mezzo governo in attesa di uno sblocco, anche parziale, sempre rinviato.
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Da una decina d’anni le grandi opere necessarie per la messa in sicurezza del territorio dalle inondazioni sono diventate una sorta di miraggio, messe in stand by dal prosciugamento dei fondi che la crisi economica ha portato con sé. E non solo. Come gli stanziamenti già previsti nella nostra provincia, poi spostati per progettare il ponte sullo stretto di Messina e infine svaniti.
I soldi, quando arrivano, sono ormai concessi con il contagocce, o a fronte di una emergenza. Lontani anni luce dalla programmazione complessiva che interventi come questi dovrebbero avere. Che senso ha rialzare chilometri di argini se poi poche centinaia di metri sono rimaste ribassate e quindi costituiscono un varco per le acque in piena? Non si rischia, non completando i lavori, di vanificare l’immenso sforzo anche economico condotto negli ultimi decenni? E infine, i cittadini mantovani possono dormire sonni tranquilli sapendo che i fenomeni di piena sono in crescita? Il direttore dell’Aipo, l’Agenzia interregionale per il Po, l’organismo che ha preso in carico le competenze dell’ex magistrato del Po sul tema, ha le idee chiare. «Nel Mantovano è stato fatto un grande sforzo di potenziamento delle difese idrauliche – spiega l’ingegner Luigi Mille –. Stiamo parlando di argini rialzati e rafforzati con cantieri che solo negli ultimi anni hanno largamente superato i 50 milioni di euro di interventi».
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IL PO. Di fatto, un terzo degli argini del Po, 77 chilometri sui 235 totali, non è adeguato al progetto di rialzo varato negli anni ’80 e che prendeva come riferimento una piena ricostruita a tavolino chiamata Simpo 82 e basata su quelle storiche, in primo luogo quella del 1951 imponendo di costruire gli argini per sicurezza un metro più alti di quella piena ricostruita. Uno studio così lungimirante da prevedere anche i livelli raggiunti nel 2000 quando il Po raggiunse e superò in molti casi le quote del 1951. Circa 28 chilometri in sponda destra e 49 in sponda sinistra non centrano quell’obiettivo e restano da pochi centimetri a qualche decimetro sotto il metro di sicurezza. «In nessun caso – precisa però Mille – gli argini sono inferiori alla massima piena ricostruita, tant’è che hanno contenuto l’evento del 2000».
In quei giorni di quindici anni fa il punto più critico fu attorno a Motteggiana dove l’acqua arrivò a pochi centimetri dalla sommità arginale facendo decidere il taglio della golena abitata di San Benedetto Po per far calare la furia del fiume.
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Oggi i grandi lavori di rialzo, l’ultimo dei quali è stato condotto fra 2006 e 2009 a San Benedetto, hanno complessivamente aumentato il livello di sicurezza in molti tratti. Ma mancano all’appello dei tratti significativi: a Torricella di Motteggiana, fra Brede di San Benedetto Po e Sabbioncello di Quingentole (7 chilometri e mezzo), sull’argine di frontiera di Revere, fra Carbonara e Carbonarola per quanto riguarda il sinistra Po; fra Cizzolo e Cavallara e al ponte di Borgoforte per il sinistra Po. In tutti questi il “franco di sicurezza” è fra 30 e 70 centimetri rendendo i tratti “a criticità media o elevata”
«I piani ci sono, le progettazioni le abbiamo fatte – spiega Mille, coadiuvato dal suo vice, l’ingegner Marco La Veglia – Per la zona del Viadanese servono circa 4 milioni di euro. Una decina per il tratto fra San Benedetto e Quingentole». Una volta che saranno eseguiti i lavori e tutte le arginature del Po saranno portate alla quota Simpo 82 più un metro di sicurezza, si dovrà ragionare in altri termini. «Impossibile pensare a nuovi rialzi con argini già alti 8-9 metri sulla campagna – continua il direttore Aipo –. Si dovrà pensare a casse di espansione, bypass, vasche di laminazione per contenere le acque in eccesso durante le fasi più critiche della piene».
ZONE A RISCHIO. Per completare il quadro, va detto che 34 Comuni mantovani, praticamente la metà, sono compresi nella zona «a rischio inondazione» stabilita dal Pai (Piano per l’assetto idrogeologico) che comprende i fenomeni più gravosi di quelli di riferimento considerando anche piene con temi di ritorno fra 200 e 500 anni.
LE ALTRE ACQUE. Se sul Po la situazione è quella descritta, per il Chiese Aipo ha investito un milione: si vuole migliorare la sicurezza a monte di Asola. Situazioni critiche permangono sull’Oglio a Carzaghetto (Canneto) e nei tratti terminali degli affluenti come la Seriola di Acquanegra. Carenze arginali infine sul tratto terminale del Secchia fra il ponte di Quistello e la foce.
«Il Mincio è un fiume regolato da chiuse allo sbocco del Garda – conclude Mille – e per questo sono importanti i recenti accordi per la gestione delle acque del lago e la pulizia dell’alveo. A valle di Mantova il problema resta legato non tanto all’altezza degli argini, quanto al fatto che sono stati costruiti su terreni ex vallivi e quindi instabili». Da qui le frequenti frane ed i lavori di ripristino che negli ultimi anni hanno riguardato il tratto di Bagnolo.
Ultimo tema, quello dello Scolmatore, il canale destinato a dirottare le acque in eccesso del Mincio e gettare in Oglio traversando diagonalmente da nord est a sud ovest la provincia ed intercettando nel passaggio Seriole e fiumi in grado di fra crescere l’acqua dei laghi di Mantova e quindi difendendo il capoluogo dalle alluvioni.
I lavori, iniziati a Goito dopo una lunga trattativa sugli espropri agricoli, si sono arenati per un contenzioso con la ditta appaltatrice. Al momento il cantiere è fermo e non ci sono prospettive a breve di una riapertura. Le casse Aipo sono state svuotate dai contenziosi: all’appello mancano altri 10 milioni.
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