Il duello per il Giubileo del 1875 tra la Favilla e il Vessillo cattolico
Giubileo della misericordia 2015 e così sia. La storia ci consegna però il Giubileo del 1875, proclamato da Pio IX, dopo le cannonate di Porta Pia del 1870 “prigioniero in Vaticano”
Renzo Dall'AraGiubileo della misericordia 2015 e così sia. La storia ci consegna però il Giubileo del 1875, proclamato da Pio IX, dopo le cannonate di Porta Pia del 1870 “prigioniero in Vaticano”. Mantova avrebbe vissuto quell’Anno Santo in clima ben poco misericordioso sulla carta stampata, tutti contro tutti. Pro Giubileo, e fortino assediato il Vessillo cattolico, settimanale fondato nel 1872 dal vescovo Pietro Rota, che si era portato da Guastalla la tipografia, insediata in seminario, dove veniva stampato. Direttore don Francesco Gasoni, grintoso prete di Pegognaga. Avversario implacabile La Favilla, quotidiano democratico radicale, creatura di Paride Suzzara Verdi, esule risorgimentale, garibaldino, socialista: giornale di battaglia, sequestri, multe e gerenti responsabili in carcere.
Tra i due fuochi la Gazzetta di Mantova, che aveva come punta polemica il direttore Salvatore Cognetti de Martiis e si guardava bene dal calmare le acque, dando in più ampio spazio alle lettere contro Rota. Il vescovo annunciava l’evento giubilare con la pastorale del 25 gennaio 1875, denunciando “quanto sia ingiuriosa alla Chiesa la calunnia degli eretici, ripetuta da ignoranti e falsi cattolici” intorno alle indulgenze.
La Favilla l’aveva anticipato il 5 gennaio: “Fioriva il Giubileo quando fioriva l’inquisizione. L’inquisizione squartava gli uomini liberi, il Giubileo amnistiava gli imbecilli”. Apocalittica la replica del Vessillo: “Veggo apprestarsi dall’Altissimo il giorno tremendo della vendetta agli empi che osarono muovergli guerra”. Nella città capoluogo, le chiese da visitare per l’indulgenza erano la cattedrale, Sant’Andrea, San Barnaba e San Maurizio.
Scontro senza tregua, tirando in ballo perfino l’anticlericale Garibaldi, per il quale i cattolici erano “canaglia” e che il Vessillo trattava da “vecchio immondo”.
Febbre alta, provocata dall’apparizione dei primi Valdesi, più il clamoroso caso dei paesi che volevano eleggere i loro parroci, con relative scomuniche dei preti eletti e dei laici collegati, tutti motivi per litigare sui giornali, con la Gazzetta bersagliata dal Vessillo. Risparmiati nemmeno i Martiri di Belfiore, a chiudere l’anno giubilare.
Ma la bufera continuava: dopo un’ispezione, il ministro dell’istruzione pubblica ordinava il 3 marzo 1876 la chiusura del seminario e dell’annessa scuola (auspicata dalla Gazzetta), con sfratto del vescovo e del Vessillo, trasferito a Roma.
A Rota era capitato, però, ben di peggio il 6 gennaio 1873, per l’omelia dell’Epifania in duomo che, secondo la Regia procura, aveva violato sei leggi. Incriminato e processato il 1° maggio 1873: due giorni di dibattito, difensore il celebre penalista milanese Alessandro Brasca, decorato poi addirittura dal Papa e condanna al minimo della pena: sei giorni e lire 51 di ammenda, confermata in Cassazione. Prelevato dai carabinieri in seminario, Rota entrava in carcere il 19 settembre, per rimanervi fino al 25.
Solita Favilla: “Martirio a buon mercato”, evangelico il Vessillo: “Consummatum est!”, è compiuto.
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