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In paese per sfuggire ai nazisti: tornano a S.Giacomo per raccontare

Una famiglia ebrea sfollò da Bologna e visse nascosta dal luglio 1943 alla Liberazione. E dai ricordi riaffiora un parente amico di prigionia di Primo Levi

di Francesco Abiuso
2 minuti di lettura

SAN GIACOMO DELLE SEGNATE. Due anni all’inferno: tra bombe, nazisti alla porta, i rastrellamenti continui e il rischio di essere deportati. Ma anche due anni di sentimenti puri, esaltati dalla precarietà, di affetto e silenzioso aiuto ricevuto dalla popolazione di quel paesino della Bassa. Le celebrazioni della Memoria faranno rivivere oggi, a San Giacomo, una drammatica storia di stenti, paura e sopportazione affiorata solo di recente.

Due sorelle, Cecilia e Francesca Lombroso, torneranno nel paese che le ospitò assieme alla madre, Nelly Dalla Volta, e al fratello Andrea, dal luglio 1943 all'aprile 1945. Famiglia ebraica, di origine mantovana: discendenti di quel Giuseppe Dalla Volta (1808-1888) che fu noto commerciante in città, e con parenti sparpagliati dal Bresciano all'Emilia. A Brescia, per esempio, c'era il fratello di Nelly, Guido, che fu deportato ad Auschwitz con il figlio Alberto. Quell’Alberto che, da recenti scoperte, sarebbe quel ragazzo che lo scrittore Primo Levi, in Se questo è un uomo, racconta di aver conosciuto durante la prigionia. Strinsero amicizia, lottarono per non scomparire, fino a quella che sembrava la fine dell'incubo, e invece no. Il fato stava per separarli: ad Alberto il tragico destino di fare parte della marcia di evacuazione del campo, con i prigionieri gradualmente eliminati dai mitra. Levi, invece, rimase al campo con la scarlattina: così si salvò.

A Bologna, dunque, viveva Nelly, moglie di Andrea Lombroso, che emigrò in Uruguay nel 1940 perché moglie e figli potessero raggiungerlo. Ma non fu possibile. Così, al culmine del periodo nero della guerra, il 28 luglio 1943, Nelly con i suoi tre figli lasciò Bologna per San Giacomo. Prima abitarono a Corte Mantovana, di proprietà di uno zio, poi affittarono un appartamento in un caseggiato che si trovava (e si trova) a due passi dalla chiesa. E iniziarono così due anni in cui mamma Nelly non pensò che a proteggere i suoi figli dalle deportazioni, da rastrellamenti e violenze. Un armadio nascose il figlio Andrea a ogni ispezione dei tedeschi come delle brigate nere. A pensarci, fu quasi un miracolo che potessero sopravvivere senza essere scoperti in un posto piccolo e diventato pericoloso come San Giacomo, dove i tedeschi misero prima un ospedale e poi la sede dell'alto comando, a villa Rezzaghi. Per giunta, la mensa per gli ufficiali fu creata proprio nello stesso stabile dei Lombroso, a pochi metri di distanza dalle stanze in cui la famiglia viveva nel modo più silenzioso possibile. Le brigate nere imperversavano, cercando cibo e alloggio. I fascisti, incattiviti dalle uccisioni a Villa Arrigona, imponevano il coprifuoco a colpi di mitraglia. Da ultimo, ci fu il bombardamento alleato del 16 aprile 1945 che portò morte. Tutto poi finì, con l'esercito stelle e strisce che marciava in paese.

Come fu possibile salvarsi? Una parte della risposta sta nell'affetto e nella solidarietà che la famiglia ricevette a San Giacomo. Tutto raccontato da Nelly nel suo diario.

Oggi Cecilia Lombroso, che per la prima volta nel 2015 rimise piede a San Giacomo per collaborare a un libro sul bombardamento, racconterà tutto insieme con la sorella (Andrea vive in Danimarca). Appuntamento alle 17.30 alla biblioteca. Ci sarà anche Remo Alessi, internato nel campo di concentramento di Buchenwald. Intervengono Livia Calciolari e Stefano Vanini.

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