MANTOVA. Part-time, orari flessibili o anche solo modifiche del turno che a volte diventano miraggi così come un posto al nido, una retta meno costosa o una mano in più in casa. Benché in leggero calo rispetto all’anno precedente, sono ancora troppe le mamme che nel Mantovano abbandonano il posto di lavoro perché non ce la fanno a conciliare casa e professione: sono state 184 nel 2015 (di cui 178 dimesse e sei con risoluzione consensuale) erano 199 nel 2014, 170 nel 2013, 150 nel 2012.
«La convalida delle dimissioni e delle risoluzioni consensuali è un istituto a tutela delle lavoratrici madri e dei lavoratori padri con figli di età inferiore ai tre anni – spiega Giovanni Pugliese, responsabile del servizio politiche del lavoro della Direzione territoriale lavoro di Mantova nonché consigliere di parità supplente della Provincia – serve per accertare la loro effettiva volontà di lasciare il posto che potrebbe essere condizionata dal contesto socio-economico, da indebite pressioni o, peggio, da comportamenti illeciti dei datori di lavoro».
Il report realizzato anche per il 2015 dalla Direzione provinciale del lavoro è frutto di un accordo del 2007 «tra ministero del lavoro e consigliera nazionale di Parità – aggiunge Pugliese – per monitorare una serie di dati significativi come la nazionalità delle lavoratrici, l’ampiezza aziendale delle parti datoriali, il settore produttivo e soprattutto i motivi che hanno indotto a sciogliere il rapporto».
Così emerge che delle 184 lavoratrici che lo scorso anno hanno optato per questo passo, 17 lo hanno fatto per «mancato accoglimento al nido» (erano 27 nel 2014), 23 per «assenza di parenti di supporto» nell’assistenza al neonato (18 nel 2014) e 8 per «elevata incidenza dei costi di assistenza al neonato (asilo nido o baby sitter)» (9 nel 2014). In cinque hanno invece rinunciato per mancata concessione del part-time e 61 per il «desiderio di occuparsi della prole in maniera esclusiva» (63 nel 2014).l resto è fatto di mamme che semplicemente hanno trovato un'altro lavoro (38), cambiato abitazione (20) o visto la loro azienda chiudere i battenti (1). Il fenomeno delle mamme dimissionarie riguarda per lo più donne italiane (151), seguite dalle cittadine extracomunitarie (23) e dalle cittadine Ue (10). Per quanto riguarda invece i ruoli sono state 90 le operaie che hanno lasciato il posto, 86 le impiegate, quattro i quadri, tre le dirigenti e un’apprendista. Il fenomeno si conferma trasversale ai vari settori: 58 su 184 arrivano dal commercio, 67 dai servizi, 33 dall’industria, tre da credito e assicurazioni e una sola dall’agricoltura.
Prima di arrivare al passo definitivo alla direzione del lavoro non mancano i tentativi di conciliazione per trovare un punto di incontro tra esigenze della lavoratrice e necessità dell’azienda. Nel 2015 la riforma del Jobs Act ha inoltre introdotto novità significative come il congedo parentale a ore nonché la sua estensione temporale, un particolare percorso di protezione per le donne vittime di violenza e la possibilità di chiedere il part-time in sostituzione del congedo parentale. «I dati raccolti - conclude Giovanni Pugliese - oltre a consentire una migliore conoscenza delle realtà economiche e produttive di pertinenza dovrebbero impegnare le istituzioni interessate a porre in essere ogni iniziativa utile a favorire la piena applicazione della normativa in materia di parità e pari opportunità tra uomo e donna, per prevenire ogni forma di discriminazione fondata sul sesso». O anche solo per aiutare chi vuole almeno provarci a essere una mamma che lavora. (m.v.)
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