Faccia a faccia con il Papa, Busti vicino alla partenza
L’incontro all’assemblea della Cei: «Aspetta ancora un po’, poi lascerai Mantova». Il vescovo: «Tornerò dalle mie parti». Il successore entro qualche settimana
di Gabriele De StefaniMANTOVA. «Sì, io e il Papa ci siamo visti nei giorni scorsi all’ultima assemblea della Cei – riferisce il vescovo Roberto Busti – e gli ho ricordato che ha sul tavolo la mia lettera di dimissioni». E lui, il pontefice decisionista? «Mi ha dato una pacca sulla spalla e mi ha detto di andare avanti ancora un po’». Non molto, però: le indiscrezioni che dal Vaticano rimbalzano in piazza Sordello dicono che il nome del sessantaseiesimo vescovo di Mantova arriverà nel giro di qualche settimana. Sicuramente non oltre la fine dell’estate, verosimilmente prima.
Le previsioni, con papa Bergoglio al comando, sono sempre azzardate: lo sanno bene gli uomini di Chiesa e gli innumerevoli vaticanisti che hanno inesorabilmente sbagliato i pronostici sui tempi e sui modi di quasi tutte le ultime nomine di Francesco (tra cui quella di monsignor Claudio Cipolla elevato a sorpresa alla guida della diocesi di Padova). Non tanto perché al Papa gesuita piaccia prendere tutti in contropiede, quanto perché – se fosse un sindaco – si potrebbe dire che scavalcare le gerarchie ecclesiastiche è per lui quasi una linea di mandato. E dunque per immaginare chi può diventare vescovo non conta più guardare chi ha un curriculum di tutto rispetto lungo la scala gerarchica: gli schemi sono diventati altri. E nuovi.
Ma sui tempi della sostituzione di Busti non ci si dovrebbe sbagliare. Il cambio è obbligato (al settantacinquesimo compleanno il capo della diocesi ha dovuto formalizzare il passo indietro) ed è stato già posticipato di qualche mese per consentire al vescovo di portare a termine uno degli atti più significativi dei suoi otto anni e mezzo a Mantova, cioè il primo Sinodo diocesano dopo oltre un secolo. Terminato il quale - e con anche il restauro della basilica di Sant’Andrea ultimato - il cerchio bustiano in piazza Sordello è arrivato a chiudersi.
«Quando arriverà la formalizzazione e chi sarà il mio sostituto? Ah guardi, non mi ci metto nemmeno io a fare pronostici – sorride Busti – immagino che in Vaticano siano a buon punto nel percorso per individuare il nome migliore, ma non lo chieda a me. Io invece tornerò dalle mie parti, nei dintorni di Lecco. Sarò un sacerdote come tutti gli altri nella diocesi di Milano». Per Busti, dunque, una scelta diversa rispetto ai suoi predecessori: se tanto monsignor Ferrari quanto Caporello avevano deciso di rimanere a Mantova anche al termine del loro ministero (l’uno alla Casa del Sole, l’altro alle Grazie), il vescovo stavolta opta per il ritorno a casa. Del resto il ministero di Busti, con i suoi otto anni mezzo, è stato molto più breve rispetto a quelli di Ferrari (dal 1967 al 1986) e di Caporello (dal 1986 al 2007).
E se per tracciare un bilancio esaustivo del mandato di Busti c’è ancora qualche settimana di tempo, l’impronta lasciata appare netta e in linea con quanto ci si aspettava al momento della nomina quando la Gazzetta parlava del nuovo vescovo come di un «decisionista brillante». Il Sinodo, la riforma delle parrocchie con l’introduzione delle unità pastorali, la scelta di sfidare le critiche procedendo con l’adeguamento liturgico di Sant’Andrea subito dopo i restauri e la robusta opera di recupero delle chiese danneggiate dal terremoto bastano a tratteggiare un profilo lontano da quello di un vescovo meramente curiale. Un decisionista, appunto.
Anche l’impronta della scuola montiniana, abituata a sporcarsi le mani nella dimensione sociale, negli anni è stata riconoscibile: dalle ripetute stoccate alla politica agli interventi davanti alle più gravi crisi occupazionali, fino a gesti plastici come quel cartello “Non sono un esubero” indossato quando Mps si apprestava a porre 150 dipendenti fuori dal suo perimetro. In mezzo - una novità per Mantova - un vescovo che alle feste con i ragazzi non si è mai fatto problemi a cantare e ballare con loro.
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