Muto junior escluso dalla white list delle imprese
Il Tar conferma l’interdittiva antimafia per la ditta del figlio dell’imprenditore assolto nella Pesci
di Rossella CanadèMANTOVA. La Costruttori società cooperativa è fuori dalla white list. Il Tar di Parma, a meno di 24 ore dall’udienza, ha emesso l’ordinanza che conferma l’interdittiva antimafia nei confronti della ditta di Gaetano Muto, il figlio di Antonio, l’imprenditore finito nell’inchiesta Pesci sulle infiltrazioni della ’ndrangheta nel Mantovano.
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Muto è stato assolto ad aprile in primo grado con formula piena dall’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa. Ma la sentenza che lo scagiona non è sufficiente, secondo i giudici del tribunale amministrativo di Parma, a sgombrare il campo dai dubbi sul pericolo di contaminazione della ditta del figlio, che il Prefetto di Reggio Emilia aveva cancellato lo scorso maggio dall’elenco delle ditte “pulite”. Contro quel colpo di penna, che significa perdita di affari e credibilità per il giovane imprenditore, - che 5 anni fa aveva subito un incendio dell’auto che gli investigatori collegano a una ritorsione di stampo mafioso- , la Costruttori aveva presentato ricorso con richiesta di sospensiva. Ora il Tar si è espresso definitivamente.
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Nel provvedimento, scrivono i giudici del Tar, risulta «adeguatamente motivato il pericolo di infiltrazione mafiosa alla luce dei rapporti sussistenti tra la società e il signor Muto Antonio, socio non lavoratore della stessa, nonché del rapporto di convivenza del figlio ed amministratore unico Muto Gaetano con il primo». Che, prosegue l’ordinanza, al momento dell’adozione del provvedimento di revoca dell’iscrizione nella white list, risultava rinviato a giudizio con l’ipotesi di essere l’anello di congiunzione tra il boss cutrese Nicolino Grande Aracri e il mondo degli affari e della politica mantovana, «in concorso con noti esponenti di autonoma articolazione della ’ndrangheta operante in Emilia Romagna».
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Secondo i giudici del Tar, la sentenza di primo grado non può viziare il provvedimento dell’interdittiva che non richiede «l’accertamento di responsabilità penali, essendo sufficiente la ricostruzione di un quadro indiziario che induca a ritenere possibile che le scelte dell’imprenditore costituiscano un veicolo di infiltrazione delle organizzazioni criminali». In sostanza, quelli che il Gup del tribunale di Brescia Vincenzo Nicolazzo ha ritenuto puri indizi non sufficienti a dimostrare la colpevolezza di Antonio Muto, portano invece il tribunale amministrativo a intravvedere una vicinanza dell’imprenditore con l’entourage del boss Nicolino Grande Aracri. E non si può quindi escludere che l’impresa del figlio, che vive sotto lo stesso tetto del padre, ne sia immune.
Le norme per emettere l’interdittiva antimafia, in sostanza, sono molto più intransigenti della presunzione d’innocenza del processo penale. Ora l’unica strada che la Costruttori società cooperativa può percorrere per riabilitarsi, è il ricorso al Consiglio di Stato.
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