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Brexit è il frutto dell’ansia di chi temeva per il lavoro

Due scrittori e il direttore del festival di Hay cercano di spiegare l’addio britannico all’Ue: «Non è stato un voto di destra: un terzo dei “leave” veniva da elettori laburisti»

di Davide Dalai
2 minuti di lettura

MANTOVA. «Per molti inglesi, pensare ad un uomo mediterraneo, significa visualizzare ad un jihadista pronto a farsi saltare». Peter Florence, direttore del Festival di Hay-on-Wye, il più famoso festival della letteratura britannico, ispiratore del Festivaletteratura, scherza sul significato intrinseco che l’inglese medio associa al Mediterraneo, mentre intervista i romanzieri e giornalisti Howard Jacobson e Jeanette Winterson sui motivi della “Brexit”, l’uscita del Regno Unito dalla Unione Europea.

«Ho votato per rimanere – racconta Jacobson – uscire è stata una decisione sbagliata, ma vorrei che capiste che è sbagliata l’idea di associare tutto al razzismo. L’ansia per l’immigrazione che molti inglesi hanno non andava tacciata subito per razzismo, ma analizzata per quello che era: ansia. Il dettaglio demografico che ha fatto vincere la Brexit erano uomini lavoratori bianchi che avevano sofferto l’assenza di politiche di sviluppo da parte della classe dirigente, ed avevano bisogno di incolpare qualcuno, in questo caso l’Europa e le frontiere aperte».

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Ovviamente gli immigrati, dal punto di vista d’insieme, siamo noi italiani, i polacchi, gli ungheresi: «La cosa paradossale – rivela Winterson – è che gli stessi che hanno votato per la Brexit saranno anche coloro che ne pagheranno le maggiori conseguenze. Come succede anche qui in Italia, gli immigrati erano disposti a fare molti lavori sgradevoli (tradotto letteralmente “di merda”). Ascoltavo alla radio le interviste disperate di piccoli imprenditori che non riescono a trovare più la manodopera per le aziende, perché gli immigrati hanno paura di essere allontanati e non si trasferiscono più. L’errore della nostra classe dirigente è stato trasmettere troppa sfiducia per il futuro: se vuoi stare al vertice della piramide devi essere sicuro che la base sia ben solida, invece troppe persone in UK hanno la sensazione di non avere soldi e non avere futuro».

Alla fine, ad influire sono stati diversi fattori: «Si può dare la colpa ai giornali di destra – spiega Florence – o agli autobus che percorrevano le periferie scrivendo che ogni settimana la Gran Bretagna pagava 250 milioni di sterline all’Unione Europea. La verità è che i giornali sono letti da 2,5 milioni di persone, e che 1/3 dei 17 milioni che hanno votato per il “leave” si dichiarano di sinistra (partito laburista). La prossima volta che in un paese si andrà al voto per una questione di questo tipo, è bene che gli elettori siano informati su cosa vanno ad esprimersi e quali saranno le conseguenze. Senza politici che raccontano menzogne».

«Si dovrebbe insegnare ad essere più scettici, a non credere a quello che ci raccontano o meglio a discernere la verità dalle bugie» incalza Jacobson. «Non sono d’accordo – lo contraddice Winterson - io voglio insegnare la fiducia. La politica economica neo liberista ha frantumato il contratto sociale, ed oggi non ci fidiamo più di nessuno. Da separati e diffidenti i popoli sono più facili da deprimere e da dominare. Si è visto in passato, con l'uomo forte che offre soluzione facili». Ed in conclusione recita un mea culpa sulla questione inglese: «Il problema degli inglesi è che gli inglesi pensano ancora di essere una grande potenza, ma non lo sono. Siamo un’isola, da qui l’idea di essere separati e speciali, senza bisogno dell’Europa. Anzi l’opinione diffusa è che sia l’Europa ad avere bisogno di noi. Nelle bugie di chi ha fatto campagna elettorale c’era sempre questo concetto: vedrete che ci chiederanno di negoziare un nuovo accordo. Io non vedo un futuro da separati. Invece la maggioranza degli inglesi pensa di sì».

 

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