Mantova, il congedo del generale: «E ora mi godo la città»
Cerimonia per il saluto di Battisti dopo quarantaquattro anni nell’esercito. E’ il mantovano che ha raggiunto il più alto grado della gerarchia militare. "Un conflitto fra Stati Uniti e Russia? Non credo che si arriverà a tanto"
MANTOVA. E’ il militare mantovano che ha raggiunto il più alto grado della gerarchia: generale di corpo d'armata. Ma da martedì 11 ottobre, giorno del suo sessantatreesimo compleanno, Giorgio Battisti è ritornato alla vita civile.
Congedato con tutti gli onori nel corso di una cerimonia nella caserma romana della Cecchignola. Comandante per la Formazione, Specializzazione e Dottrina dell'Esercito l'ultimo incarico assunto, ma in precedenza alla testa di molteplici missioni all'estero anche in ambito Nato. L'Afghanistan in particolare gli è rimasto nel cuore, tanto da scriverci un libro presentato anche a Mantova giusto un anno fa alla Università. Nel suo palmares 18 decorazioni, tra cui onorificenze Usa, francesi e dei paesi Alleati. Un figlio, già capitano, destinato - pesante fardello - a raccoglierne l'eredità. La Gazzetta di Mantova lo ha incontrato per un'intervista a tutto tondo.
Signor generale, 44 anni nell'Esercito, come li ha vissuti?
«Non nascondo l'emozione. Un turbamento dato dalla consapevolezza che da domani la mia vita cambierà drasticamente. La nostra vita di soldati è infatti costellata di tanti ricordi che ci seguiranno per tutta la vita. Una professione impegnativa, che da dignità a chi la fa con principi e con onore, certamente non comoda, non facile, ma faticosamente bella. In questo particolare momento, sento fortissimo l'orgoglio per aver potuto servire la nostra splendida istituzione, alla quale ho dedicato ogni mia energia, in un periodo rivelatosi ricco di sfide da affrontare e di traguardi da conseguire. 44 anni sono tanti. Un cammino lungo ed emozionante percorso in Italia e all'estero che mia ha permesso di conoscere luoghi, culture e realtà uniche che altrimenti non avrei visto».
Da allievo ufficiale a generale di corpo d'armata, una carriera brillantissima costellata di comandi importanti anche in ambito Nato, di quale conserverà maggiormente il ricordo?
«Non posso dimenticare i miei anni di artigliere da montagna, tanti e tutti ugualmente importanti. Ho prestato servizio in tre brigate alpine: Taurinense, Tridentina e Julia. Di ognuna serbo un ricordo esaltante. Le mie 4 missioni in Afghanistan sono sicuramente quelle di cui ho il ricordo più vivo. La prima iniziò nel dicembre 2001 e l'ultima, di 13 mesi consecutivi, nel 2013-2014. L'aspetto che mi più mia colpito è quanto sia cambiato il paese. Rimangono ancora sfide difficili da affrontare, e in alcune zone la situazione non è stabile per l'aggressiva presenza degli insorti, ma ritengo si stia procedendo nella giusta direzione. Ho portato con me tanti ricordi. Su tutti, i paesaggi sconfinati, gli occhi delle bambine e il volto e i nomi dei nostri soldati caduti per l'Afghanistan».
Dopo la sospensione della leva obbligatoria e i cospicui tagli cos'è oggi l'Esercito Italiano? E come viene considerato nell'ambito degli altri Paesi Nato?
«Oltre 20 anni di ininterrotte operazioni all'estero hanno determinato una significativa crescita professionale delle nostre Forze armate, soprattutto per l'esercito che ha sempre sostenuto l'onere maggiore di questi impegni. Lo scenario internazionale nel quale l'Italia è chiamata a operare è oggi più che mai imponderabile e caratterizzato da una complessità senza precedenti. Le attuali missioni presentano connotazioni nuove, non riscontrabili in nessuno scenario di crisi del passato, e hanno chiesto alle nostre Forze armate di confrontarsi con realtà del tutto diverse rispetto a quelle tipiche del confronto tra i due blocchi contrapposti. Ritengo di poter affermare che le Forze armate italiane operano all'estero alla pari degli altri eserciti occidentali in termini di professionalità, preparazione, qualità degli equipaggiamenti e materiali, malgrado finanziamenti sempre più oculati e contenuti. I nostri comandanti e soldati sono in grado di agire tranquillamente con i loro colleghi stranieri grazie alla conoscenza e applicazione delle consolidate procedure Nato e a una padronanza della lingua inglese sempre più diffusa, specie tra i giovani ufficiali.
Somalia, Bosnia, Afghanistan: teatri di guerre cruenti a cui ha partecipato, molti caduti. Lei ha mai avuto paura di essere tra loro?
«L'addestramento militare e la professionalità dei miei commilitoni mi hanno sempre aiutato a superare anche le situazioni più difficili. Purtroppo, negli anni, c'è anche chi non è stato così fortunato e, me lo lasci dire, anche un solo caduto è già troppo. Ma dico anche che il sacrificio di tanti uomini e donne in uniforme, e non solo, è servito a far sì che le iniziative politiche e diplomatiche potessero prendere il posto della forza per dare un futuro migliore a tanti Paesi. Vorrei, infine, ricordare le famiglie di coloro che hanno perso la vita nell'espletamento del proprio dovere ed esprimere loro la mia più profonda vicinanza e cordoglio.
Generale, lei è un artigliere da montagna quindi un Alpino. Cosa vorrebbe dire agli Alpini in questo momento della sua vita professionale e personale?
«Voglio ringraziarli tutti, quelli in armi e quelli in congedo. L'alpinità non è solo tradizioni, folklore e raduni. Ci sono il profondo spirito di corpo, il senso di appartenenza, la solidarietà, l'amore per il prossimo e la convivenza civile. Soprattutto c'è la montagna che, come diceva Mario Rigoni Stern, è il "minimo comune denominatore" di tutti gli Alpini. Un grazie sentito all'Associazione nazionale Alpini che contribuisce ad alimentare il senso di appartenenza al corpo e a creare un legame e una condivisione di valori forti con le nuove generazioni».
Crede si possa arrivare ad un conflitto Usa-Russia e conseguente coinvolgimento dei Paesi europei?
«Domanda difficile. Basta leggere un qualsiasi giornale o ascoltare uno dei tanti talk show per rendersi conto che ci sono due grandi partiti: quello dei catastrofisti e quello degli scettici. Personalmente ritengo che la parola guerra sia inflazionata: si parla di guerra di religione, di guerra di ideologia, di guerra urbana e perfino di guerra tra tifosi di squadre diverse. Tornando alla sua domanda, non credo si arriverà a tanto ma di una cosa sono sicuro: se si dovesse verificare quest'eventualità i protagonisti sarebbero soprattutto computer e tecnici altamente specializzati e non aerei e carri armati».
Dopo il comando del corpo d'Armata di reazione rapida della Nato in Italia, il suo nome circolava tra i candidati al vertice interforze per le missioni all'estero in virtù dell'esperienza acquisita, invece è stato destinato ad incarichi d'ufficio, che è successo? «Nessun problema col vertice politico. Si tratta di valutazioni effettuate ai massimi livelli del dicastero della Difesa che hanno preferito altri. Come le dicevo, sono contentissimo di avere avuto la possibilità di comandare il Comando per la formazione, specializzazione e dottrina dell'Esercito poiché gioca un ruolo determinante nella Forza armata.
Nel suo curriculum c'è una serie interminabile di onorificenze italiane e straniere, tra l'altro è commendatore della Repubblica, a quale tiene di più?
«Se proprio devo scegliere, direi i due Ordini Militari d'Italia, che sono tra le più alte onorificenze che un soldato può avere l'onore di ricevere. Vorrei aggiungere, però, che tutti riconoscimenti e le onorificenze che ho ricevuto hanno una loro storia».
E ora cosa farà? La vedremo come analista militare in qualche talk show?
«Per citare un modo di dire anglosassone, non mi ritengo un "armchair general". Non mi ci vedo nei talk show. Ho sempre preferito guidare con l'esempio i miei soldati, uomini e donne, che hanno dimostrato sul campo di essere dei bravi professionisti».
Tornerà più spesso a Mantova, che ha lasciato a 19 anni per entrare in Accademia a Modena?
«Sicuramente. Mantova è la città dove sono nato, dove ho vissuto la mia infanzia e giovinezza e dove ho conosciuto mia moglie, e dove vivono mia madre e i miei fratelli».
Conosco la Sua fede nerazzurra. L'Inter ha l'allenatore olandese, ma il gioco è tutt'altro che spumeggiante…
«Dal triplete in avanti è stata una sofferenza continua per noi interisti. Vorrei citare un'affermazione del grande Giacinto Facchetti: ci sono giorni in cui essere interista è facile, altri in cui è doveroso e giorni in cui esserlo è solo un grande onore». (v.d.)
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