Gobbi portò l’anello per il matrimonio della figlia del boss
Torna nel processo il ruolo dell’uomo ucciso a Viadana. I legami con Grande Aracri nelle parole degli investigatori
di Rossella CanadèINVIATA A BRESCIA. A puntare il dito sui legami strettissimi di Giorgio Gobbi con la ’ndrangheta era stato proprio il suo assassino, il cognato Luciano Bonazzoli, in carcere con una condanna a 18 anni. Lo stesso Gobbi gli aveva raccontato di azioni punitive nei confronti degli ossi duri che provavano a ribellarsi alle direttive dei puledri della cosca, e della sua partecipazione a gambizzazioni, su ordine del capozona Francesco Lamanna, pupillo di Nicolino, «suo amico fraterno».
La Procura antimafia di Brescia lo aveva già sottolineato: «Gobbi faceva parte del gruppo di fuoco di Lamanna, e aveva messo a segno anche degli omicidi, come abbiamo ragione di credere. E ieri, al processo Pesci, che vede alla sbarra 14 persone accusate di estorsioni sotto la lunga mano del boss cutrese Grande Aracri, davanti allo stesso Pm Paolo Savio, è arrivata un’altra, inquietante, conferma, che getta un altro faro sul radicamento della cosca nel Mantovano.
«Fu Giorgio Gobbi a procurare il prezioso anello nuziale della figlia di Nicolino, Elisabetta, che nell’agosto del 2011 andò in sposa a Giovanni Abramo». Lo ha raccontato il maggiore Andrea Leo, in quel periodo comandante dei carabinieri di Fiorenzuola d’Arda, che per mesi, sotto la Dda bolognese, con i suoi uomini si attaccò alle costole dell’associazione criminale. Leo, che ha seguito non senza fatica il filo di mesi e mesi di intercettazioni e pedinamenti, ha ricordato che, in occasione del matrimonio in stile hollywoodiano, fu Lamanna a consegnare fisicamente l’anello, ma a procurarlo fu proprio Gobbi. Segno di un’appartenenza tutt’altro che marginale alla cosca.
Confermata, tra l’altro, dalla visita che la mattina successiva alla sua morte, quando però ancora la sua scomparsa non era stata denunciata, due uomini si presentarono sia nell’azienda di Bonazzoli a Viadana, che dai carabinieri, a chiedere notizie di Gobbi. Il maggiore Leo, che è anche uno dei testimoni chiave del processo Aemilia, ha fornito pennellate interessanti su altre figure del processo: oltre al ruolo indiscutibile di Lamanna, già condannato anche a Brescia a nove anni e quattro mesi per associazione mafiosa nel rito abbreviato - sentenza contro cui la Procura peraltro ha fatto ricorso in Appello - ha riportato alla luce i legami e gli affari di Antonio Gualtieri, considerato dagli inquirenti uno degli elementi di spicco della costola emiliana del clan. Dalle indagini dei carabinieri di Mantova, risulta che fu lui, insieme ad Antonio Rocca e al genero di Lamanna, a costringere l’imprenditore Giacomo Marchio a cedere gratuitamente al re del ferro veronese Moreno Nicolis due appartamenti del valore di 250mila euro.
Una questione che Rocca ha voluto smentire in videoconferenza dal carcere.
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