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«Inopportuno dedicare la via a Maletti»

Gli storici e la memoria del generale che partecipò al massacro di Debra Libanos

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CASTIGLIONE. La vicenda della medaglia d’oro al generale Pietro Maletti, castiglionese nato il 24 maggio 1880, eroe di guerra, come raccontato nel volume “Le cinque medaglie d’oro castiglionesi” di Armando Rati, ma anche fra i responsabili del massacro della città monastica di Debra Libanos, fa discutere.

Da un lato c’è chi appoggia la richiesta di Fausto Beltrami, il castiglionese che scrisse alla Gazzetta alcuni mesi fa, e cioè la necessità di cambiare nome alla via. «Non conoscevo la vicenda - afferma un passante che dopo aver letto la notizia si è recato a verificare di persona l’esistenza della via - sarebbe doveroso cambiare il nome e magari intitolare la via proprio a Debra Libanos, magari spiegano bene il perché di questa operazione con una serata pubblica». Maurizio Froldi, appassionato di storia locale, commenta la notizia affermando «Sono contrario, parlando in generale, alle modifiche della toponomastica. Questo è, però, un caso particolare, sul quale si intrecciano sia l'eterno problema dell'obbedienza agli ordini ricevuti durante le operazioni di guerra, sia la successiva morte di Maletti, nel 1940, con medaglia d'oro. È chiaro che sarebbe quanto mai inopportuno, oggi, dedicargli una nuova via. Più complesso togliere la denominazione ad una via esistente da decenni. Nel caso specifico sarebbe comunque un provvedimento giustificato. Da non dimenticare, per completare il quadro, i problemi che verrebbero a tutti i residenti in Via Maletti, che dovrebbero rifare tutti i loro documenti».

Renata Salvarani, professore di Storia del Cristianesimo e delle Chiese all’Università Europea di Roma, afferma: «Quando sono stata nel nord dell’Etiopia per una campagna di studi sulle chiese rupestri, le persone più anziane, appena sentivano parlare in italiano, nominavano ad alta voce Debre Libanos, sputavano per terra e se ne andavano. L’eccidio, perpetrato in uno dei luoghi sacri per eccellenza della chiesa etiope, è rimasto una ferita aperta. Negare la gravità di questi crimini certo non contribuisce a un avvicinamento dei cristiani etiopi, che hanno un’identità molto forte e sono fieri dell’origine apostolica della loro fede e delle loro tradizioni. Anche per questo il documentario realizzato da Antonello Carvigiani per TV 2000 per fare conoscere eventi, testimonianze e fotografie è stato presentato ufficialmente in Vaticano, alla presenza di una delegazione della Chiesa ortodossa etiope. Mantenergli l’intitolazione di una via, per di più nel paese che ha visto l’origine della Croce Rossa è una contraddizione davvero insostenibile. Sarebbe importante, invece, che i castiglionesi, e gli italiani in generale, prendessero atto di questa parte della loro storia, onestamente e senza ideologismi. Cambiare un nome può essere un primo passo». (l.c.)

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