Così le piante puliranno il petrolchimico
Mancuso, direttore del futuro centro ricerche di San Nicolò: «Faremo innovazione tecnologica. Pronti a fine 2018»
di Sandro Mortari
MANTOVA. «Un centro ricerche di eccellenza in cui le piante fungeranno da tecnologia per disinquinare». Ecco che cosa sorgerà nell’area di San Nicolò grazie al progetto Mantova hub, che si propone non solo di riqualificare la periferia est ma anche di dare prospettive di sviluppo all’intera città. A dirigerlo sarà Stefano Mancuso, 46 anni, una delle massime autorità mondiali nel campo della neurobiologia vegetale, che di recente ha incontrato in Comune l’assessore all’ambiente Andrea Murari.
«Sarà il primo centro di ricerca a livello mondiale che si occupa delle piante da un punto di vista non solo dell’alimentazione ma, soprattutto, come ispirazione per l’innovazione tecnologica e l’ambiente, i temi su cui punterà il centro» spiega Mancuso.
Entra poi nel dettaglio. «Partendo dallo studio delle piante, la nostra ambizione è di produrre innovazione tecnologica anche in ambiti molto lontani da quelli che associamo al mondo delle piante come le reti, l’informatica, i nuovi materiali, le risorse energetiche, tutte possibilità che possono essere affrontate semplicemente andando a guardare le soluzioni che le piante hanno sviluppato nel corso delle centinaia di milioni di anni della loro evoluzione. Noi dobbiamo solo studiare e ricopiare. L’altro tema del centro sarà l’ambiente che è uno dei problemi più importanti della modernità. Non possiamo più pensare di produrre come si produceva alcuni anni fa. Tutte le produzioni devono essere sostenibili, l’ambiente è una priorità i cui costi devono essere considerati all’interno delle produzioni. Produrre in maniera sostenibile è fondamentale».
Come nasce l’idea di questo centro a Mantova?
«Non è casuale perché il sindaco Palazzi mi contattò prima che fosse eletto per conoscere che cosa ne pensavo su quelli che potevano essere i temi interessanti per uno sviluppo sostenibile della città. Da allora la collaborazione è andata avanti perché è uno dei temi principali su cui questa amministrazione si sta muovendo molto e bene».
Ci sono altri esempi, oggi, di questo centro ricerche?
«Non esiste niente del genere. C’è qualcosa di simile, e l’ho sempre fatto io, in Giappone a Kitakyushu, dove quel centro si muove sull’idea di creare nuovi materiali, tessili e plastiche, ispirata alle piante. Il modello giapponese è interessante e vogliamo replicarlo a Mantova: c’è un input iniziale dell’amministrazione pubblica che fonda e sostiene il laboratorio; poi il laboratorio diventa autonomo finanziariamente nel senso che produce innovazione che viene presa in carico dalle diverse aziende del territorio che cominciano a produrre e a utilizzare quell’innovazione per le proprie produzioni. In altre parole, le grandi aziende hanno la possibilità di avere il loro settore di ricerche e sviluppo interno, ma sono pochissime; noi proponiamo di funzionare da settore ricerche e sviluppo per tutte le aziende che lo vorranno. Facciamo ricerca e sviluppo per loro, poi avranno innovazioni tecnologiche che potranno utilizzare, partendo sempre dalle piante».
A Mantova c’è il problema dell’inquinamento causato dal petrolchimico e, quindi, di risanare l’area. Il centro ricerche di San Nicolò potrebbe servire anche per il disinquinamento?
«È uno dei punti fondamentali. C’è un solo modo per bonificare seriamente ed è l’utilizzo delle piante. Oggi l’unico sistema per bonificare è rimuovere il suolo inquinato e spostarlo da un’altra parte e questo ha un costo talmente elevato da non essere razionalmente sostenuto da nessuno. Non è, però, una bonifica. Quella vera è prendere un terreno inquinato e renderlo non inquinato, l’unica cosa che si può fare è utilizzare le piante e le tecniche giuste. Il tricloroetilene, per esempio, è una molecola per solventi utilizzata dall’industria delle plastica che inquina il 50% delle sorgenti d’acqua italiane potabili. Nel terreno devono passare centinaia di migliaia di anni prima che scompaia. Se ci mettiamo le piante giuste, bevono il tricloroetilene, lo trasformano in cloro
gassoso, anidride carbonica e acqua, lo fanno scomparire. Stesso discorso per gli idrocarburi: le piante li degradano ad anidride carbonica e acqua e li trasformano in niente. Questa è la potenza delle piante, però le piante vanno conosciute e soprattutto sono delle vere e proprie tecniche di bonifica. Spesso si pensa che siccome stiamo parlando di piante sia una cosa che non ha niente a che fare con la tecnologia. Se uno mette due piante non succede nulla. Le piante sono la tecnologia del futuro, così come il passato secolo è stato quello della fisica, il secolo che viviamo sarà quello della biologia, cioè si utilizzerà la biologia per risolvere i problemi dell’uomo».
Che tempistica vi siete dati per il centro?
«Fine 2018 per avere il centro di ricerca attivo, è nel primo lotto del bando periferie».
Quali piante servirebbero?
«Qualunque pianta per i nuovi materiali. Per quanto riguarda le bonifiche, le piante sono pioppi e salici, tipiche della zona. È chiaro: non qualunque pioppo o qualunque salice, questo è il punto. Sono ibridi speciali non ogm, ibridi naturali ottenuti da noi per incroci che hanno efficienze stratosferiche nel pompaggio di acqua e nella rimozione degli inquinanti»
Quindi l’area inquinata del petrolchimico dovrebbe essere trasformata in un bosco?
«Esattamente. Il miglior consiglio che si possa dare contro qualsiasi inquinamento per qualunque tipo di luogo è di trasformarlo in un bosco. Si veda quello che è successo a Chernobyl dove le piante hanno ormai ricoperto tutte le schifezze della centrale».
I commenti dei lettori